Per la prima di Fini accorre tutto l'ex Msi

 MIRABELLO (Ferrara) Non c'era Franco Pontone. E la sua assenza forse è l'unica che ha un significato politico. Vale come un silenzioso dissenso. Perché Pontone è il tesoriere di An, è lui che vola a Montecarlo e davanti al notaio firma la vendita dell'appartamento in via Princesse Charlotte che la contessa Colleoni lasciò in eredità al partito e dove attualmente vive Giancarlo Tulliani, fratello di Elisabetta. Pontone è il depositario dei segreti più reconditi della destra, poco più che ottantenne s'è trovato invischiato nell'affaire Montecarlo anche se lui, in fin dei conti, è stato solo l'esecutore di volontà di altri. Da galantuomo partenopeo si sarebbe aspettato una difesa più esplicita da parte del leader. Pochi giorni fa Giuseppe Consolo lo ha chiamato e gli ha passato Fini in persona. Poche parole, personali, affettuose. Tutto qua. Lui, il senatore, raggiunto telefonicamente non conferma nulla. Si limita a raccontare: «Alcuni giorni fa sono scivolato e mi sono rotto un braccio. Nella sfortuna sono stato fortunato, era il braccio sinistro e così posso stringere ancora le mani. Non ho altro da aggiungere, grazie».   Non c'è neppure Barbara Contini. Annunciate anche le assenze di Souad Sbai e Catia Polidori, le due moderate che proprio due giorni fa avevano lanciato un ulteriore appello alla riconciliazione assieme ad esponenti del Pdl. Compare, invece, e questa è una sorpresa inattesa, anche Mirko Tremaglia. Arriva supportato da due stampelle. Un tripudio per lui quando fa il suo ingresso nel tendone ristorante. Si alzano tutti in piedi al punto che l'ottantaquattrenne deputato viene issato su una panca. Applausi, saluti romani. Viene portato al pranzo con i finiani dove sarà l'unico ad essere espressamente ringraziato da Fini, che poi ribadirà pubblicamente anche dal palco all'inizio del comizio. Tremaglia viene accolto da un'ovazione e saranno diverse le volte che si alzerà in piedi ad applaudire il leader soprattutto quando questi ribadirà: «Non ci fermeremo». Oppure «Non ci faremo intimidire». Per il resto non ci sono defezioni o arrivi di sorpresa. Manca qualche peone, si vedono tanti ritorni. Si rivede Folgorino, alias Sergio Mariani, che fu suo vice alla guida dei giovani missini ed ex marito di Daniela Di Sotto, gli ex della mitica sezione di Sommacampagna. Si rivedono ex deputati come Lo Surdo e Conti. Qualche ex consigliere regionale. Uno dei figli dei martiri Govoni, uccisi dopo il 25 aprile. Tanto ex Msi più che ex An. Ma così accadde anche quando nacquero la Fiamma Tricolore o la Destra di Storace. Trombati, esclusi. E giovani, quelli sì. C'erano anche nelle altre due fondazioni avvenute a destra. Stavolta sono guidati da Gianmario Mariniello (interrotto dal suo capo, Italo Bocchino, che lo prende in giro con una vuvuzela) e Luigi Di Gennaro. Il primo si era appellato alla necessità di continuare «la rivoluzione liberale interrotta, spezzata». Il secondo si era rivolto ai ragazzi e spiega loro come sia giunta l'ora di «aprire agli altri italiani, quelli che non hanno voce». Parlano nell'ultimo dibattito prima del comizio di Fini. Il presidente della Camera arriva che già hanno finito ma li vede dal palco, si compiace nel vedere tutte quelle facce di ragazzi nelle prime file: «Hai visto quanti sono?» fa al suo portavoce Fabrizio Alfano mentre è sulla scaletta prima di salire sul palco. Poi c'è la categoria dei delusi dal Pdl. Quelli che speravano di guadagnarsi uno strapuntino, uno spazietto. Di farsi largo. Berlusconi seppe contenere i suoi fondando i Circoli della Libertà, sebbene anche la Brambilla dovette poi difendersi da quelli che reclamavano una candidatura. Ovunque, ma una candidatura. Qui ci sono quelli che cercano di farsi largo tra i potentati locali. L'eurodeputato Potito Salatto, per esempio, un passato dc, si scaglia contro la «parentopoli romana che governa il Pdl» nella Capitale. Gli chiedono di fare nomi ma lui, da ex andreottiano, glissa. Per il momento è un magma variopinto, che contiene esperienze diverse. Ma è presto per tirare le somme, Fini sperava solo che ci fosse ancora un suo popolo.