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Insanabile la frattura col Pdl Presto il nuovo partito di Fini

Gianfranco Fini sul palco di Mirabello

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Tutto come da copione e secondo le previsioni. Il discorso di Fini a Mirabello è stato molto denso e in certi passaggi suggestivo, nella sua calibrata retorica, com'è nello stile dell'uomo. Ma al tempo stesso non ha detto nulla che già non si sapesse o che gli osservatori politici non ventilassero. E non ha dato risposte agli interrogativi posti in queste settimane né sulle vicende «private» né, tanto meno, sulla compatibilità della sua carica istituzionale con quella di attivo e presente leader politico. Ha eluso molto abilmente queste questioni presentandosi come vittima sacrificale sia di una deriva illiberale e addirittura «stalinista» di un partito che non ammetterebbe dialettica e discussione interna sia di campagne giornalistiche «paranoiche e patetiche». Fini ha confermato, nella sostanza, l'esistenza di una frattura insanabile tra il Pdl e Fli, quando ha affermato che il Pdl non esisterebbe più avendo perduto lo spirito liberale delle origini. E ha fatto ben capire come la prospettiva della creazione di un nuovo partito legato al presidente della Camera sia una prospettiva reale, anche se non immediata, allorché ha precisato che Futuro e Libertà non potrà rientrare nel Pdl perché non si può rientrare in qualcosa che non c'è più. La definizione del Pdl come «Partito del predellino» o come «Forza Italia allargata» e la rivendicazione, quale patrimonio ideale di Futuro e Libertà, della eredità liberale originaria del Pdl sono affermazioni significative. Che non lasciano spazio a ipotesi di possibili riconciliazioni o, comunque, di una stagione politica serena dalle parti della maggioranza. Sotto questo profilo, le dichiarazioni sul «sostegno leale» al governo per garantire la conclusione della legislatura, assumono un carattere puramente strumentale per evitare che Futuro e Libertà possa venire accusato di essere il responsabile della liquidazione della maggioranza. E, d'altro canto, ciò è confermato dalla esplicita intenzione di concepire questo sostegno in modo, per dir così, dialettico o critico nel merito dei provvedimenti. La verità è che Fini ha dimostrato una viscerale o, verrebbe voglia di dire, antropologica avversione nei confronti di Berlusconi e nel suo modo di concepire la politica, liquidandolo come - è uno dei temi ricorrenti della polemica delle opposizioni - un politico che confonde la leadership con il comportamento proprio di un proprietario di azienda. Ma, quel che più conta, Fini ha ribadito, sia pure abilmente, tutti i punti di contrasto che sono all'origine della frattura: sul federalismo come sulla giustizia, sull'immigrazione come sulla politica economica e sociale.   In questo quadro l'assicurazione di Fini che Futuro e Libertà sarebbe intenzionato a garantire la vita del governo senza cambi di campo, senza ribaltoni senza tatticismi è stata, di fatto, ridimensionata dall'invito ad ascoltare le proposte dell'opposizione, in linea con la concezione che «governare» non significhi «comandare» ma cercare compromessi. Il «patto di legislatura» proposto, in queste condizioni, da Fini è un patto che presuppone, anche se ciò non è esplicitato, la nascita di un soggetto politico nuovo. Quanto meno di fatto. E, d'altro canto, la richiesta della parità di condizioni tra Pdl, Lega e Futuro e Libertà lo fa chiaramente intendere. L'abbandono di quello che Fini ha definito il «tavolo a due gambe» e la sua sostituzione con uno a tre gambe presuppone che, in tempi più o meno lunghi, Futuro e Libertà diventi un soggetto autonomo, quindi un nuovo partito. Ma a questo punto si pone un problema politico che sfiora la composizione stessa del governo. Che diventerebbe un governo di coalizione non più di due ma di tre partiti. Il corpo elettorale, però, non ha votato affatto questa ipotesi. Ha votato per il Pdl e la Lega. E per un governo da questi formato. E allora? Come si può dire che Futuro e Libertà deve andare avanti per «onorare il patto con gli elettori?».

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