Berlusconi: "Non ho espulso Fini"
Bossi frena sulle elezioni anticipate
«Non ho cacciato Fini, è lui che ha sbattuto la porta e se ne sta andando». Silvio Berlusconi lo dice, lo ripete da giorni a quelli che ha visto e sentito nella girandola di incontri e telefonate. Ieri per esempio ha ricevuto Alfano e Ghedini, Mario Baldassarri, e poi Bossi con Calderoli e Cota. Il refrain che ripete il Cavaliere è che Fini è il responsabile di tutto. Ed è inutile che cerchi scuse per alimentare la divisione. «Non lo abbiamo mai cacciato. E se anche avessimo voluto farlo non avremmo potuto visto che Fini non è neppure iscritto al Pdl», insiste Silvio da giorni. E ripercorre le tappe che hanno portato alla rottura di luglio, a quella drammatica riunione dell'ufficio di presidenza. «Siamo dovuti intervenire - ricorda il premier - perché il partito stava perdendo il 5% dei consensi. E nei focus group che avevamo fatto fare a Milano risultava che per un terzo degli elettori Berlusconi (di sé parla in terza persona ndr) era troppo buono, per un terzo era invecchiato e per un terzo era ricattato. E queste erano le ragioni perché non reagiva». Poi sottolinea i passaggi del documento politico approvato quella sera di quaranta giorni fa, in qualche caso anche rileggendo le parole testuali: le posizioni di Fini non sono come «un legittimo dissenso, bensì come uno stillicidio di distinguo o contrarietà nei confronti del programma di governo sottoscritto con gli elettori e votato dalle Camere, come una critica demolitoria alle decisioni prese dal partito, peraltro note e condivise da tutti, e infine come un attacco sistematico diretto al ruolo e alla figura del presidente del Consiglio». E su questo il capo del governo ribadisce: «È inaccettabile. La lealtà non è solo nei confronti di quello che ti ha messo in lista ma anche e soprattutto nei confronti del partito che ti ha eletto, del programma presentato e del candidato premier il cui nome era sulla scheda elettorale». Un altro passaggio del documento di luglio caro al leader del Pdl è quello sulle ragioni del dissenso: «In particolare, l'onorevole Fini e taluni dei parlamentari che a lui fanno riferimento hanno costantemente formulato orientamenti e perfino proposte di legge su temi qualificanti, come ad esempio la cittadinanza breve e il voto agli extracomunitari, che confliggono apertamente con il programma che la maggioranza ha sottoscritto solennemente con gli elettori. Sulla legge elettorale, vi è stata un'apertura inaspettata a tesi che contrastano con le costanti posizioni tenute da sempre dal centrodestra e dallo stesso Fini». Non è un caso che Berlusconi ribadisca oggi questi concetti. Aspetterà il discorso di Fini di domenica a Mirabello anche se è convinto che il presidente della Camera tornerà a ripetere che sulla legalità non fa passi indietro e che la rottura l'ha voluta Silvio con il deferimento ai probiviri dei finiani Bocchino, Briguglio e Granata. E dunque se c'è una volontà di fare passi indietro bene, altrimenti lui, Fini, va avanti ed è pronto a fare un nuovo partito. Se questi sono i concetti quel che è sicuro è che a contare saranno gli accenti. I toni con i quali verranno pronunciati. Se prevarrà quel continuo «distinguo» per indebolire il premier. Tuttavia, il quadro è questo e il Cavaliere non vuole fornire nuovi pretesti tanto che considera ulteriori attacchi a Fini, alla segretaria, alla compagna ormai quasi controproducenti (un «boomerang» è la parola utilizzata). Per lui il punto centrale resta la casa di Montecarlo: chi c'è dietro le società off shore, chi fu il commercialista che fece l'operazione, chi era il beneficiario finale. Niente attacchi, toni soft è il messaggio che fa filtrare Silvio da Palazzo Grazioli (anche se ai suoi ha spiegato che non chiamarà mai i direttori di Libero e Il Giornale per chiedergli di fermarsi) da dove, uscendo in serata, Bossi si limita a dire: «Aspettiamo Fini domenica». Berlusconi spera poi che le sue ragioni si facciano largo tra i finiani moderati. Intanto i berlusconiani preparano un piano B, una via d'uscita. Recuperare qualche finiano pronto a staccarsi in caso di scissione effettiva. Con Casini restano pochi margini, più possibile qualche singolo Udc. E negli ultimi tempi si sono intensificati i rapporti anche con rutelliani e persino singoli dipietristi. Basteranno? Forse sì. A loro si rivolgerà il presidente del Consiglio quando si presenterà alle Camere con il suo discorso programmatico che conterrà anche un capitolo ad hoc sulla giustizia. Non immagina di andare avanti con il processo breve tanto sa benissimo che sarà osteggiato se non cassato dalla Corte Costituzionale. Chi ha parlato direttamente con il Cavaliere l'ha trovato anche piuttosto tranquillo e sereno sul processo Mills: «Ma è una roba allucinante, sta in piedi sul nulla e quindi crollerà come tutte le altre accuse».