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Sinistre amnesie

Gheddafi e Prodi

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L'abbiamo capito. Alla sinistra italiana, Pd in testa, Muammar Gheddafi non piace. Eccessivo, provocatore, misogino e troppo amico di Silvio Berlusconi, che è probabilmente il suo più grande difetto. Ieri sul tema è intervenuto addirittura il segretario del Pd Pier Luigi Bersani: «Più che teatrino libico è il teatro della politica estera berlusconiana. Noi arriviamo a questo punto perché è una impostazione: le relazioni speciali. Questo meccanismo ci ha portato a stare fuori da tutte le cose rilevanti. Ora siamo alla favola che questo ci porta benefici, affari. Non è vero». Ma l'idiosincrasia nei confronti del leader libico ha anche nobili motivazioni. Dopo le parole sull'islamizzazione dell'Europa, ad esempio, in molti all'opposizione hanno riscoperto le proprie radici cristiane e si sono profondamente irritati. Anche se il vero peccato originale del rais è la sistematica violazione dei diritti umani. E su questo punto, la sinistra tutta, non è proprio disposta a fare passi indietro. Oggi. In passato, infatti, più di una volta la difesa della dignità umana è stata messa da parte. Basterebbe ricordare, ad esempio, il diverso trattamente riservato al rais negli anni del secondo governo Prodi. Certo il Professore non gli fece mai piantare la sua tenda a Villa Pamphili, ma gli incontri bilaterali non mancarono. Al punto che nell'ottobre del 2008 il rais decise di insignire dell'ordine del Grande El-Fatah, il più alto riconoscimento libico, sia Prodi che l'allora ministro degli Esteri Massimo D'Alema. Il motivo? Gli sforzi compiuti per consolidare i sentimenti di amicizia e cooperazione tra i due Paesi. Non a caso il preambolo del trattato di "amicizia" Italia-Libia venne scritto proprio durante l'esperienza governativa del centrosinistra. E non a caso il Pd, quando si trattò di approvarlo, votò a favore (contro Udc, Idv, i Radicali e tre deputati democratici Furio Colombo, Andrea Sarubbi e Pierluigi Mantini). Ma Gheddafi è solo una delle molte «sinistre dimenticanze». Andando a spulciare la mole di comunicati diramati durante il biennio 2006-2008 da Palazzo Chigi si scopre, ad esempio, che il 4 dicembre 2006 il salottino del Professore ospitò il presidente dell'Eritrea Isaias Afwerki. Per non lasciare spazio ad accuse di strumentalizzazione politica si potrebbe dire che in quello stesso anno Freedom House (l'organismo che piace tanto a sinistra perché puntualmente certifica la poca libertà di stampa del nostro Paese) definiva l'Eritrea come uno Stato non libero. Sottolineando proprio come il governo Afwerki proseguiva una politica repressiva, vietando il pluralismo. E il rapporto 2010 di Amnesty International non è più tenero: «Le autorità hanno interrogato, torturato e altrimenti maltrattato persone critiche verso il governo nel tentativo di impedire il dissenso». Ricordate proteste per quel faccia a faccia? Per la cronaca, va ricordato che nel 2006 l'Eritrea era 189ª nella classifica della libertà di stampa, appena sopra la Libia. In quel periodo il governo intrattiene ottimi rapporti anche con la Cina e con il suo presidente Hu Jintao. La valutazione di Freedom House è la stessa dell'Eritrea: paese non libero in cui viene controllato e represso il dissenso. Senza dimenticare che, come scrive Amnesty International oggi, «la Cina ha continuato a ricorrere a un uso estensivo della pena capitale, anche per reati non violenti». Libertà di stampa? Nel 2006 era 177ª. Ma il vero colpo di magia accade il 13 settembre 2007. A Roma, ospite di Prodi, arriva il presidente della Repubblica del Sudan Omar Hassan El-Bashir. Uno che, per capirsi, è accusato dalla Corte penale internazionale di genocidio, crimini contro l'umanità e crimini di guerra nel Darfur. Certo, l'accusa gli è stata formalizzata nel luglio 2008, ma bastava farsi un giro su Freedom House: «Mentre la guerra civile durata 22 anni si conclude nel Sud con un atto di pace firmato nel 2005, la pulizia etnica, i massacri e gli stupri continuano nell'ovest del Paese, nella regione del Darfur».   La valutazione che l'organismo dà viene espressa da una scala da 1 a 7. Uno rappresenta il più alto livello di libertà. Il Sudan ha 7 sia per i diritti politici che per le libertà civili. Nella classifica della libertà di stampa si piazza al 182° posto. Il 30 agosto era toccato al presidente del Ruanda Paul Kagame che, cosa meritoria, si trovava in Italia per ritirare il premio «Abolizionista dell'anno» per la sua battaglia contro la pena di morte. Nonostante questo il Ruanda veniva classificato come Paese non libero e si piazzava 182° per libertà di stampa. Così come il Togo il cui presidente Faure Essozima Gnassingbe venne ricevuto a Palazzo Chigi il 5 settembre 2006: non libero ma un po' meglio per quanto riguarda l'informazione (171°). Ci sono poi le «perle» più conosciute. Che dire infatti della passeggiata di Massimo D'Alema con un deputato di Hezbollah (organizzazione terroristica secondo l'Europarlamento) per le vie di Beirut? Davanti alle polemiche Prodi commentò serafico: «Le foto? Non capisco dov'è lo scandalo, non si è mica iscritto a Hezbollah». Certo, ma se a questo si aggiungono le frasi di Baffino sulla necessità di cercare «un contatto con Hamas (altra organizzazione terroristica secondo la Ue ndr)» qualche piccola preoccupazione sorge. Soprattutto per la percezione che altri Paesi possono avere della nostra politica estera. Ma il centrosinistra si sa, ha covato sempre nel proprio Dna il germe della mediazione. Durante il secondo governo Prodi, ad esempio, esponenti del governo iraniano erano di casa a Palazzo Chigi.   Il Professore incontrò personalmente il presidente Ahmadinejad a New York e da lui ricevette anche una lettera che gli fece affermare orgoglioso che Teheran era pronta ad aprire un canale di collaborazione. Inutile dire che per Freedom House l'Iran era, nel 2006, un Paese non libero guidato da un presidente conservatore. E illiberale da sempre, almeno secondo gli organismi internazionali, è un altro stato molto caro alla sinistra: l'isola di Cuba. Eppure questo non impedì al dittatore di essere ricevuto con tutti gli onori a Palazzo Chigi. Era il novembre del 1996 e Prodi ricopriva per la prima volta la carica di presidente del Consiglio. Con lui, a ricevere Fidel, c'era anche il vicepremier di allora: un certo Walter Veltroni. Ma il feeling non si interruppe. Tant'è che tre anni dopo, il 28 giugno del 1999, Massimo D'Alema, il primo ex comunista della storia a governare il Paese, incontrò Castro in Brasile, a margine del vertice tra Ue e America Latina. Per essere veramente precisi bisognerebbe anche ricordare che il centrosinistra di governo, che oggi tanto si indigna per i viaggi di Silvio Berlusconi dall'«amico» Putin, mantenne ottimi rapporti con il governo di Mosca. Al punto che il 22 aprile 2006, a poche settimane dalle elezioni, il Professore dichiarò: «I problemi energetici non sono problemi facili, ma è meglio affrontarli con la conoscenza che abbiamo di questi problemi e con i rapporti che io e Putin abbiamo da molti anni». Insomma, quando si parla di affari economici, la battaglia per la libertà e i diritti può anche aspettare.

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