L'Ulivo di Pierluigi, "ribollita" surreale
La buonanima di Francesco Cossiga avrebbe schernito a dovere, come solo lui sapeva fare, il dibattito sul «Nuovo Ulivo». Che il segretario del Pd Pierluigi Bersani ha appena proposto nella solita guerra contro Silvio Berlusconi, ai vecchi alleati di sinistra e ad altri provenienti dal centro, e persino dalla destra. Ma dei quali non ha osato fare i nomi, tanta è la paura delle reazioni negative che egli stesso evidentemente avverte di provocare, anche se si mostra compiaciuto dell'attenzione ricevuta. Mi chiederete che c'entri il povero Cossiga, da poco sepolto nella sua terra sarda. C'entra, eccome. Nel 1998, quando il primo governo ulivista di Romano Prodi cadde rovinosamente a metà legislatura, fu proprio Cossiga a offrire al Pds-ex Pci guidato da Massimo D'Alema, di cui faceva parte naturalmente anche Bersani, l'occasione e il modo di evitare le elezioni anticipate. Che il presidente ormai dimissionario del Consiglio Prodi e il suo vice Walter Veltroni invece reclamavano pensando di poter dare la lezione che meritava a quel comunista rifondarolo di Fausto Bertinotti, responsabile del logoramento subìto dal loro governo con un appoggio esterno altalenante e minaccioso. Ma Cossiga pose una condizione per sostenere e far nascere il primo governo di D'Alema, da lui considerato il più adatto in quella tormentata stagione internazionale a garantire la partecipazione dell'Italia alla guerra che la Nato si apprestava a condurre contro i serbi per rimettere un po' d'ordine nei Balcani, dopo la sanguinosa dissoluzione della Iugoslavia. La condizione, che fece inorridire Prodi e Veltroni, fu quella di eliminare l'Ulivo dal terreno della nuova maggioranza, ritenendola una pianta politicamente «putrida». E ciò per gli imbrogli e le velleità che l'avevano concimata dall'inizio, nella illusione che bastasse mettere insieme gli avanzi ideologici del Pci e della Dc di sinistra per liberarsi della grande novità della politica italiana rappresentata da Silvio Berlusconi. Pur di fare il governo, passando la mano come segretario del partito a Veltroni, nel frattempo rassegnatosi all'idea di non interrompere la legislatura con le elezioni anticipate, D'Alema lasciò credere di ritenere anche lui l'Ulivo un'esperienza finita. A governo fatto però, e con Veltroni che da segretario del partito ricominciò a sognare spremute d'olio di ricino contro il Cavaliere, Cossiga non tardò a denunciare l'imbroglio. E ritirò il suo appoggio a D'Alema, anche a costo di sfasciare il partitino – l'Udr – che aveva creato quasi apposta, con Clemente Mastella ed altri volenterosi, per consentire l'approdo del primo erede del Pci a Palazzo Chigi. L'Ulivo era e rimaneva per lui una pianta politicamente putrida: il segno non di un'alleanza ma di un pasticcio. Se fu un pasticcio putrido l'Ulivo guidato da Prodi nelle elezioni del 1996, ancora di più lo fu l'Ulivo guidato nelle elezioni politiche del 2001 da Francesco Rutelli e soronamente sconfitto dal Cavaliere. Ne fu talmente evidente la crisi che cinque anni dopo l'alleanza antiberlusconiana preferì chiamarsi Unione, durata alla prova di governo meno di due anni. Che cosa volete che possa diventare il "nuovo" e surreale Ulivo di Bersani, esteso a quegli innominati di Pierferdinando Casini, Luca di Montezemolo e persino Gianfranco Fini? Lo stesso vice di Bersani, Enrico Letta, si è rassegnato a cercare, in un convegno che si apre oggi nel Trentino, «l'identikit del leader del 2020», cioè fra dieci anni. Nell'intimo egli considera evidentemente persa per la sua parte politica il turno elettorale del 2013, salvo anticipi.