I bilanci di An tormentano Fini
Gli ultimi bilanci di Alleanza Nazionale sono stati approvati all'unanimità, compreso quello che ha riguardato l'eredità Colleoni. Si spiegherebbe anche così la prudenza degli ex colonnelli sul gran casino di Montecarlo. Eppure non è la prima volta che Gianfranco Fini inciampa sulla gestione finanziaria del partito. E' già noto il triplice “no” all'approvazione dei conti di casa An dal 2005 al 2007 da parte di Sergio Mariani. Il primo marito di Daniela Di Sotto, ex consorte di Fini, il 28 luglio di tre anni fa davanti allo stato maggiore spiegò il suo voto contrario con argomenti espliciti: «L'oggetto concordato per alcune fatture è falso» . Al tempo il suo attacco non fece notizia ma è stato ritirato fuori all'inizio dell'affaire Tulliani: incalzato dai giornalisti però Mariani si è chiuso a riccio perché “i panni sporchi si lavano in famiglia”. Aggiungendo però che “se fosse l'autorità giudiziaria a interpellarmi, non potrei tirarmi indietro. Con spirito di verità”. Meno noto e non ancora rispolverato in queste settimane di Tullianeide, è invece un altro incidente di Fini sui bilanci. In particolare su quelli dell' Msi-Dn, partito poi confluito in Alleanza nazionale. Negli anni Novanta alla procura della repubblica di Roma venne presentato un esposto dall'ex sindaco revisore, Cherubino Mauri, per supposte irregolarità nella procedura di redazione dei conti del partito di via della Scrofa. La vicenda, scovata al tempo dal giornalista Marco Santarelli sul quotidiano MF, riguardava il bilancio del '92: le contestazioni di Mauri al bilancio aprirono una fase interlocutoria tra il partito e i presidenti dei due rami del parlamento. Fase che si concluse con il via libera degli uffici tecnici di Camera e Senato. Restano comunque agli atti gli esposti di Mauri a magistratura e guardia di finanza. Secondo quanto riportato dalla Gazzetta Ufficiale del 30 giugno ‘95, sotto il capitolo certificazione (redatta dal comitato tecnico di controllo parlamentare e finanziamento pubblico dei partiti) sarebbero emerse una prima serie di difficoltà. “Dall'allegato al bilancio '92 risulta che i quattro revisori che hanno sottoscritto la relativa relazione (G. Parigi, F. Tentorio, G. Manzo, I. Ricciotti) sono stati nominati dal comitato centrale in data 11 febbraio 1990, mentre il bilancio '91 era stato sottoscritto da tre revisori (G. Parigi, F. Tentorio, C. Mauri); nessuna informazione viene fornita sulla suddetta discordanza”, recitava il documento. In più, “tramite lettera del tesoriere della camera dei deputati in data 18 dicembre 1992 siamo venuti a conoscenza della segnalazione, da parte del revisore C. Mauri, di supposte irregolarità nelle procedure di controllo”. In merito alla suddetta segnalazione, proseguiva il comitato tecnico, “nessuna informazione risulta dalla relazione illustrativa al bilancio”. Ci fu un primo effetto: Il bilancio '92 del Msi-Dn “non può essere ritenuto regolarmente redatto... anche per la mancanza di informazioni sulle discordanze riscontrate nella nomina dei revisori e sulle supposte irregolarità segnalate dal revisore Mauri”. Sulla base di tale relazione, il 15 febbraio del '95 Giorgio Napolitano, all'epoca presidente della Camera, chiese a Fini spiegazioni sui rilievi formulati dal comitato tecnico. Quanto segnalato dal revisore Mauri, rispose Fini in data 24 febbraio '94, “fa riferimento a presunte irregolarità peraltro indimostrate e contestabili che nulla hanno a che fare con le leggi sul contributo dello stato al finanziamento dei partiti politici”. Sulla base di tale replica la Camera accese il semaforo verde: “Alla luce delle informazioni fornite... il bilancio 1992 può essere ritenuto regolarmente redatto”. Partita chiusa e punto per Fini. Il 2 dicembre '92, però, Mauri inviò la missiva ricordata dal comitato tecnico anche alla procura della repubblica di Roma e alla polizia tributaria. Nella lettera-esposto si parlò di omesse effettuazioni di ritenute di acconto sui compensi di lavoro autonomo e di non regolarità ai criteri civilistici e fiscali di gran parte di acquisti e servizi per inesistenza delle fatture con relativa evasione Iva. Sono poi seguiti altri esposti, sempre alla procura della repubblica (l'ultimo in data 24 marzo '94). Da parte sua, Mauri, interpellato da MF, si limitò a confermare di aver scritto le lettere, senza però rilevare in modo circostanziato le irregolarità riscontrate, “ perché ´sul contenuto vige il segreto professionale”. Mauri ricordò comunque una seduta movimentata del collegio dei revisori risalente al febbraio '93. “Fu interrotta bruscamente, nella mattina, proprio quando si era tornati a parlare dei miei rilievi nel pomeriggio fu poi ripresa, senza di me, e con la partecipazione di altri revisori, arrivati in poche ore da città molto lontan”'. E fu in quella riunione che il bilancio venne approvato. Da allora Mauri, pur continuando formalmente a far parte del collegio dei revisori, non venne più chiamato a partecipare alle riunioni. Gli incidenti sui bilanci continuarono anche nel 1995 quando in casa An si scatenò la caccia all' "eredita' ". Più di 13 miliardi di utile nel 1994, 200 miliardi di beni immobili, ricchi rimborsi elettorali in attesa delle elezioni: piatto ricco che al tempo faceva gola ai nuovi di Alleanza nazionale così come ai vecchi dell'Msi. Se si è accumulato questo patrimonio, sostennero infatti Piano Rauti e i suoi, il merito e' anche nostro e non solo di Fini. Anche in quel caso a impugnare il bilancio '94 fu il commercialista Cherubino Mauri contestando la non titolarità del soggetto che lo ha aveva approvato, cioe' il congresso di Alleanza nazionale e non quello del Movimento sociale italiano, o il comitato centrale. Stesso discorso venne fatto per il patrimonio immobiliare. Quando due soci si separano, dividono i beni della società che avevano fondato. La storia si ripete. Anche oggi, in pieno casino di Montecarlo e rottura fra finiani e pidiellini, ci sono in ballo 70 milioni in cassa e 70 immobili del valore di 3-400 milioni di euro. È questo il patrimonio dell'ex Alleanza nazionale che potrebbe essere ben presto conteso dagli eredi del partito ormai irrimediabilmente destinati a due storie politiche diverse: berlusconiani da una parte, finiani dall'altra. Per ora nessuno ha voglia di aprire il contenzioso patrimoniale ma ogni divorzio ha un prezzo. E anche il nodo della spartizione dell'eredità, non solo di quella Colleoni, verrà al pettine.