La foto di famiglia a Fini non piace

L’Italia tra pochi mesi s’appresta a festeggiare i 150 anni della sua unità. Le istituzioni faranno molta retorica e, in questi momenti, ringrazio il cielo di avermi dato l’opportunità di fare questo bellissimo mestiere, quello del cronista. Nel mio taccuino ci sono un paio di fatti che hanno molto a che fare con il carattere della nazione. Vediamoli. La famiglia Tulliani tramite i suoi legali chiede il sequestro della foto che il settimanale Oggi ha pubblicato in copertina la scorsa settimana. Cosa c’è di sbagliato in quell’immagine? Cosa c’è di sconveniente? Dov’è l’errore? Quale orrendo segreto sarebbe stato rivelato? Nessuno, l’immagine che riproponiamo ai lettori de Il Tempo - affinché abbiano strumenti per giudicare - è assolutamente innocua, un’allegra e felice famiglia che sorride di fronte al flash del fotografo in una posa ufficialissima, se volete un po’ kitsch e pomposa, ma ne abbiamo visto tante e questa non aggiunge niente di nuovo all’iconografia del potere. Il viso dei minori - secondo regola deontologica - è stato oscurato, Elisabetta sorride, il fratello Giancarlo in versione pre-Montecarlo nights pure Fini è un tenero compagno che sorride ed è contento di figurare nello stato di famiglia dei Tulliani. È certificato (è proprio il caso di usare questa parola) che si tratta di una lieta immagine, ma no, per la sacra famiglia c'è violazione della privacy. Ma davvero? Caro presidente Fini, ma come? Lei che ha difeso la libertà di stampa, Lei che ha incarnato il Presidente della Camera senza macchia e senza paura, Lei che si scagliava contro la legge sulle intercettazioni del Cav, Lei che agli inizi del luglio di quest'anno – prima che il cognatino venisse pizzicato nel Principato in affitto – diceva solennemente «di libertà di stampa non ce n'è mai troppa», riscuotendo l'applauso peloso del progressismo elegante, colto e salottiero, oggi lascia che i Tulliani – ai quali non mi pare estraneo - promuovano un'operazione di censura che neppure il Cavaliere nero...   Prima lezione: gli italiani quando sono al potere invocano la libertà di stampa solo quando gli fa comodo. Mentre i Tulliani chiedevano di cancellare un'immagine ritenuta scomoda dalle pagine dei quotidiani e dai siti internet, Famiglia Cristiana, settimanale dei paolini, diceva che Berlusconi usa il «metodo Boffo» contro chi dissente. Chi legge Il Tempo sa quanto il direttore di questo giornale sia attento e puntuale riguardo alle questioni della Chiesa, quanto importante sia per noi la sua presenza nella società, quanto sia stata difesa a spada tratta – e l'abbiamo fatto come pochi e certamente meglio dei fogli cattolici o sedicenti tali – la figura di Joseph Ratzinger, il nostro Papa, dagli attacchi sullo scandalo della pedofilia. Bene, detto questo, Famiglia Cristiana dimentica un paio di cose. La notizia del caso Boffo non fu pubblicata per primo da Il Giornale, ma da Panorama, di cui allora era direttore Maurizio Belpietro e io ero vicedirettore e capo della redazione romana. Quella notizia, cari colleghi di Famiglia Cristiana, allora non fu smentita. Non vi fu alcuna reazione. Era solo diverso il contesto, il clima politico, il tono del linguaggio, il giornale su cui fu pubblicato, ma il fatto in sé allora non fu mai rettificato o smentito. Altro piccolo appunto, a futura memoria: come mai Boffo ha lasciato la direzione del quotidiano della Cei, Avvenire? Se io credo in una battaglia, se penso che non abbia ombre, mi batto per vincere e non mollo mai, soprattutto se faccio parte di un'istituzione che ha duemila anni di storia e credo nella forza della fede. Così non è stato. Seconda lezione: nella comunità cattolica in troppi hanno dimenticato quel che disse Gesù: chi è senza peccato scagli la prima pietra. Nel frattempo la Fondazione Fare Futuro prosegue la sua battaglia revisionista. Ora tra gli intellettuali finiani c'è la scoperta dei valori liberali. Non male per ha una storia che affonda le sue radici nella Repubblica sociale. I cervelloni del pensatoio finiano accusano Berlusconi di aver tradito le icone di Reagan e la Thatcher per Putin e Gheddafi. Servirebbe un intero manuale di relazioni internazionali e uno di geopolitica per spiegare loro che il leader russo e quello libico sono due fattori di stabilità fondamentali per il mondo contemporaneo. Senza di loro, cari amici della Nuova Destra, il mondo sarebbe decisamente più instabile. Né il presidente russo né il colonnello libico sono due stinchi di santo, ma non è con i buoni sentimenti che si fa politica estera. Gli Stati Uniti – quelli di Reagan, fondamentali per l'affermazione della democrazia in Occidente e la fine del comunismo in Unione Sovietica – attraverso la Cia finanziarono in Europa e Centro America operazioni coperte che farebbero impallidire queste anime candide, ma non per questo possiamo dire che la buonanima di Reagan è stata una disgrazia per l'umanità. Putin e Gheddafi sono per l'Italia semplicemente indispensabili: fornitori di energia (gas e petrolio), giocatori sul mercato finanziario globale, partner commerciali del nostro sistema imprenditoriale. Che dovrebbe fare Berlusconi? Buttare tutto all'aria e lasciare il nostro Paese senza gas e petrolio in inverno e qualche banca che serve le imprese senza capitale tutto l'anno? Terza lezione: la destra finiana tradisce la propria storia, quasi si vergogna delle proprie radici e finisce per usare simboli e storie che non le appartengono. Si chiama furto ideologico. Ecco, cari lettori, tre episodi della nostra cronaca, tre eventi della schizofrenia dello Stivale, tre moventi per continuare a farsi del male senza un perché, tre immagini della nostra centocinquantenaria disunità. Viva l'Italia.