"Il cuore guidi la finanza"
{{IMG_SX}}Pubblichiamo un ampio stralcio del discorso pronunciato da Cesare Geronzi, presidente di Generali, al Meeting di Rimini.Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce, come dice Pascal. Sarebbe banale ripetere una di quelle frasi comuni secondo la quale hanno un cuore nel senso dei sentimenti, della simpatia secondo il significato etimologico riscoperto da Adam Smith o dell'amicizia operativa, di cui parla Don Giussani – anche categorie e persone che si ritengono, a volte a torto, legate a una visione economicistica della vita. Eppure, la crisi finanziaria globale ha messo in evidenza come del cuore, cioè di una spinta che vada oltre la mera valutazione economico-finanziaria, che integri la pura ragione economica, noi non potremmo fare a meno. E una spinta del genere significa, in particolare, valutazione degli interessi collettivi della comunità in cui operano la banca, l'intermediario finanziario, l'impresa assicurativa. Considerazione attenta, dunque, dell'operare anche con una prospettiva di redditività differita, perseguendo, cioè, risultati non necessariamente nel breve periodo; attenzione alle ricadute generali dell'agire del banchiere o, comunque, di un imprenditore finanziario; cura della reputazione, a forgiare la quale sono necessarie eticità, correttezza e trasparenza nei rapporti con la clientela, puntuale osservanza delle disposizioni che, appunto, regolano tali relazioni. *** Il tema della definizione delle nuove regole e delle attività economiche e finanziarie dopo la fase più virulenta della crisi è ancora all'ordine del giorno. Occorre accelerare il percorso soprattutto in Europa, avendo gli Usa approvato, come accennato, una assai importante riforma, anche con il ricorso a sostanziali mediazioni. Tarda la definizione di una efficace nuova architettura della vigilanza nell'Unione. Non si può, a lungo, stare fermi in mezzo al guado. *** A volte sembra che la crisi, mentre in questa fase sono sotto attacco i debiti sovrani sui quali si scarica l'onere dei salvataggi degli intermediari finanziari, non abbia insegnato granché, se il passo è lento nel necessario percorso riformatore. Oggi, in Italia, da un lato, bisogna riequilibrare la finanza pubblica, dall'altro, è fondamentale attivare una crescita maggiore di quella prevista, pur comparativamente da non sottovalutare, dell'1% nel 2010 e nel 2011. Soprattutto perché, come sostengono molti analisti, il maggiore apporto viene dalla domanda estera. I dati del prodotto relativi al secondo trimestre di quest'anno sono, però, di qualche incoraggiamento, anche se la recente graduatoria Ocse non induce al particolare ottimismo. Muove in una corretta direzione la manovra finanziaria approvata dal Governo a fine luglio. *** Come ha detto di recente il Presidente della Repubblica, dobbiamo guardare avanti, al futuro. Dobbiamo essere in grado di costruire una società migliore per le generazioni che verranno. E a tal fine è necessario, oltre all'intelletto ovviamente, anche il cuore al quale voi vi riferite. Sarà fondamentale affrontare le riforme di struttura, reagire al calo demografico - considerato anche il rischio del sia pur controverso anticipo della «gobba» pensionistica - contrastare quel vero e proprio bradisismo economico che ci caratterizza da un quindicennio per il quale avanziamo sempre della metà rispetto ai nostri concorrenti nei versanti della competitività, della produttività, della quota di commercio internazionale etc. Non possiamo continuare a vivere a spese delle generazioni future. Non ce lo consentirebbero più neppure i nostri legami europei e internazionali. *** Una nuova regolamentazione dei rapporti di lavoro, un nuovo statuto (non dei lavoratori) ma dei lavori, che privilegi, secondo le linee che stanno emergendo, il momento della partecipazione di chi lavora al processo produttivo aziendale prevedendo un più efficace aggancio dei salari alla produttività senza, tuttavia, superare alcune garanzie di carattere nazionale, potrebbe essere la via da seguire secondo un modello di nuova, diversa, concertazione. Finita la centralità della fabbrica, superata la centralità della classe operaia, ma non il valore del lavoro nella fabbrica grande o piccola che sia, è il tempo di allargare la visione dei partecipanti alla produzione e al lavoro in genere. Un modello di contrattazione e di rapporti di lavoro che dia maggiore stabilità di prospettive all'impiego ma, nel contempo, ne renda più flessibile lo svolgimento in relazione alle sorti della produzione potrebbe essere la via da seguire. Una riorganizzazione del mercato del lavoro lungo le linee prospettate dal Governo, deve consentire una riforma organica e di lunga durata degli ammortizzatori sociali; ci si deve, insomma, dare carico del mondo esterno all'impresa, dei giovani che aspirano a un lavoro. Esistono in materia interessanti proposte di legge parlamentari. Un piano per il lavoro fatto di nuovi strumenti e di nuove impostazioni potrebbe essere la risposta che valorizzi il merito, assicuri parità dei punti di partenza, dia una prospettiva ai giovani e alle famiglie, naturalmente nel presupposto che sia possibile attivare una crescita maggiore. E a tal fine si pone l'urgenza di sostenere la ricerca e l'innovazione con un maggiore concorso pubblico-privato. Vanno sperimentate forme articolate di partecipazione ai risultati aziendali. *** Preparare il futuro significa darsi carico, hic et nunc, delle conseguenze dell'allungamento della vita media con tutto ciò che ne consegue sul piano dello sviluppo demografico, delle immigrazioni, dell'assistenza, insomma di un nuovo welfare. Crescono, in particolare, i bisogni della cura degli anziani, dell'assistenza ai non autosufficienti. Forme di specifica previdenza e di assicurazioni private debbono fare i conti con l'onerosità delle prestazioni. È tuttora irrisolta, nonostante tanti sforzi, la questione meridionale. Un riconcepito ruolo dello Stato, nel sostegno, è ineludibile. Formulo alcune considerazioni conclusive. Non possiamo accettare l'indirizzo - che, qua e là, in campo internazionale, sembra prendere piede - del «new normal». Dobbiamo impegnarci ancora di più. La cruciale questione-lavoro passa per la necessaria apertura di una stagione di riforme di cui il Paese ha grande bisogno. Dobbiamo lavorare per una crescita maggiore. Questa è decisiva per conseguire una maggiore occupazione, in una con la rivisitazione dell'ordinamento del lavoro. Fondamentali sono la produttività e la competitività. Esigono innovazioni a livello aziendale e di sistema. Diversamente, ogni sostegno pubblico sarebbe vano. Vanno adeguate le relazioni industriali. Occorrono certezze per chi intraprende e per chi lavora. Condotta positivamente dal Governo l'azione di contrasto della crisi, ora siamo chiamati tutti - esecutivo, Parlamento, istituzioni, in genere parti sociali - a una fase di impegno e di costruzione del futuro. *** È senz'altro positivo avere incluso fisco e Mezzogiorno nei prioritari indirizzi programmatici che si propongono per l'azione del Governo in questa fase. Sarà interessante verificare gli interventi che si progettano sotto questi titoli. La continuazione della lotta a quella iniqua tassazione - che è, per i contribuenti onesti, l'evasione fiscale, lotta sulla quale si registrano significativi progressi - è fondamentale per la prospettiva di una riforma tributaria che riduca l'imposizione sul lavoro e sull'impresa. La rivisitazione tributaria si intreccia con il federalismo fiscale. Il patto, «foedus» - da cui il federalismo - deve essere equilibrato e solidale. Un federalismo cooperativo per unire, come è negli intenti del legislatore. Così può costituire una cruciale innovazione per il Paese. Occorre dare concretezza, a tutti i livelli, al principio di sussidiarietà che, oggi, ha pure rilievo istituzionale. Un ruolo rilevante spetta al mondo del credito e della finanza. Dobbiamo operare con decisione per migliorare l'immagine e, in generale, il rapporto con la clientela, imprese e famiglie. Prima ancora di insistere su posizioni rivendicazioniste nei confronti delle istituzioni della politica. Quelle posizioni saranno più forti se si sarà data prova di essersi autonomamente mossi per darsi carico delle esigenze dell'utenza e anche degli interessi del Paese. Il settore del no-profit è chiamato, anche esso, a fare la sua parte. Si parla, oggi, di nuova filantropia. È un orizzonte che, di pari passo con il necessario riequilibrio della finanza pubblica e con l'evoluzione di settori come quello dell'istruzione è della ricerca, dovrebbe mobilitare le intelligenze e la capacità di antivedere del legislatore, del Governo, dell'iniziativa privata. In un momento nel quale si manifestano anche correnti di pensiero relativistiche e scettiche, desiderare, con Camus, l'impossibile forse può apparire fuori dai tempi. E tuttavia dobbiamo proporci obiettivi più ambiziosi, capaci di una nuova sintesi tra la vita e gli interessi dei singoli e la vita della comunità di cui si è parte, per un'esistenza, insomma, degna di essere vissuta, nella quale non vengano meno gli ideali. Nella crisi - sia pure in fase di superamento - c'è un «cairòs», un'opportunità che dobbiamo saper cogliere.