Famiglia Cristiana sopravvive grazie ai contributi di Stato
Trecentododicimila euro. Tanti sono i contributi per l'editoria del governo italiano destinati al settimanale paolino Famiglia Cristiana. Gli ultimi dati disponibili (in una sezione del sito del governo) risalgono al 2008. Sono i contributi destinati "alle imprese editrici di periodici che risultino esercitate da cooperative, fondazioni o enti morali ovvero da società la maggioranza del capitale sociale delle quali sia detenuta da cooperative, fondazioni o enti morali, che non abbiano scopo di lucro". Un contributo quanto mai utile per il settimanale paolino, anche alla luce dei dati delle vendite: gli ultimi della Federazione Italiana degli Editori parlano di una diffusione di 715.797 copie. Poche, se si considera che il settimanale della famiglia paolina era arrivato a tirare, in alcuni momenti della sua storia, 1 milione e mezzo di copie. Pochissime, se si considera il trend negativo, che dal 2008 in poi ha portato i paolini a chiudere le redazioni di Torino, Venezia, Bologna e Roma. I dati economici non sono confortanti: dal 1999 al 2008, Famiglia Cristiana ha perso 26 milioni di euro e 300 mila lettori. E il piano di rilancio, che il direttore don Antonio Sciortino porta avanti ormai da due anni, fatto di una linea coraggiosa e aggressiva, non sembra aver pagato, nonostante la costante presenza della rivista paolina nel dibattito pubblico. La linea editoriale è ormai chiara e definita. Si era capita già nel lontano 2008, quando don Sciortino lavorava alla fase di rilancio del settimanale, e Famiglia Cristiana si riempiva di editoriali "scomodi" sia a sinistra che a destra, facendo discutere per una "schizofrenia" che si spiegava in due modi: la necessità di recuperare lettori, e la ricerca di un equilibrio tra le fazioni di conventuali e progressisti della Famiglia Paolina, proprietaria del settimanale. Ed è qui che è necessario fare un passo indietro al 1998. Don Leonardo Zega è direttore, e si distingue per le sue prese di posizione aperte in tema di morale sessuale e di aborto. Le porta avanti nella rubrica "Lettere dal Padre". Lo strappo si consuma proprio all'interno della stessa Congregazione, divisa tra la fazione dei "conventuali", considerati conservatori, ultrafedeli al Vaticano, e i "progressisti". I primi fanno capo ai superiori provinciali, e avrebbero l'appoggio dei vertici della Cei; i secondi quella dell'allora superiore generale don Pietro Campus. Una situazione di stallo tale che Giovanni Paolo II nomina un delegato pontificio per i Paolini, il vescovo Buoncristiani, che ora guida la diocesi di Siena. All'inizio, non c'è alcuna rimozione. Poi don Zega viene sollevato dal suo incarico. L'atmosfera all'interno della stessa congregazione si fa pesante: si ritiene che il licenziamento (ufficialmente per raggiunti limiti di età) riguardi non solo Famiglia Cristiana, ma anche la linea politica della congregazione, contesa tra destra Cei e fronda ulivista interna. Ma la linea prudente del settimanale, coincisa con la nomina del delegato pontificio, coincide con un riassottigliamento delle vendite. È in questa crisi che don Sciortino, fedele condirettore di don Zega, decide di rilanciare il giornale con una linea nuovamente aggressiva. Un riposizionamento bilanciato a suo tempo da alcune contromosse. Ad esempio, direttore del mensile Jesus (sempre della famiglia paolina) fu nominato don Antonio Tarzia che ha una navigata e collaudata amicizia con il Pontefice, del quale sposa la linea. E infatti dirige anche Communio, la rivista che Ratzinger stesso contribuì a fondare.