Berlusconi ed il rebus delle 3 carte
Non si sopportano, si azzuffano, litigano, si insultano. Insomma si detestano. A tenerli tutti insieme c’è riuscito solo Silvio Berlusconi in una stagione che ormai sembra lontana quasi come le alleanze elettorali della prima Repubblica. Il «miracolo» berlusconiano è stato quello di tenere insieme per una legislatura un ex fascista con velleità alla Sarkozy, un democristiano con ambizioni da leader e un indipendentista che si diverte a picchiare su tutto e su tutti. Però, oggi che quell'alleanza si è disgregata come il Big Bang universale, Berlusconi è ancora costretto a dover fare i conti con loro. Un po' come nel gioco delle tre carte, quelle ha in mano e con quelle deve tenere duro per la sua partita politica. L'alleato preferito è e resta Umberto Bossi, quello con il quale il Cavaliere è più in sintonia da sempre, quello con cui si ritrova a cena puntualmente il lunedì sera nella sua villa di Arcore. Anche se magari i gusti non sono proprio gli stessi, visto che Berlusconi preferisce cibi più light mentre il leader leghista non disdegna pietanze con sapori più forti e decisi. Ma la tenuta tra i due è ferrea, specialmente in vista delle possibili prossime elezioni. Per Bossi il premier è l'unica garanzia per la piena attuazione del federalismo, per Berlusconi il senatùr è l'unico che gli garantisce una fedeltà assoluta. Eppure – se si andrà veramente al voto tra pochi mesi – il Cav si potrebbe trovare a fare i conti con una Lega fortissima, capace di fare il pieno assoluto al Nord e in grado in alcune regioni, come il Veneto, di ridurre il Pdl ai minimi termini. In più il premier si troverebbe con un ministro dell'Economia che a quel punto non avrebbe più nessuno a fargli da ostacolo. Per questo Berlusconi ha sempre avuto la necessità di avere un altro alleato con cui bilanciare la Lega. Ma le carte che ha in mano sono sempre le stesse, Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini. Giù il secondo su il primo fino a un anno fa, poi la situazione si è rovesciata da quando il presidente della Camera ha iniziato ad andarsene per conto proprio. Di sicuro fra i tre non c'è mai stato grande feeling. Anzi, costretti a stare insieme politicamente, da un punto di vista caratteriale si detestano nel profondo. Hanno gusti, vizi e virtù che insieme si scontrano. Troppo leader Berlusconi, troppo costretti gli altri due a fare da eterni scudieri che attendono l'investitura del capo. Investitura che re Silvio, se potesse, rinvierebbe sine die. Ma soprattutto troppo convinti l'uno di essere meglio dell'altro. Il primo a dare segni di insofferenza è stato proprio il democristiano Casini. Il quale non per niente già nel governo 2001-2006 non volle incarichi da ministro ma si tenne le mani libere facendo il Presidente della Camera. Sotto l'esecutivo di Prodi il legame tra Pier e Silvio si raffreddò alquanto fino a sfociare nella rottura prima delle elezioni del 2008. Il leader dell'Udc raccontò la sua versione dei fatti, spiegando che Berlusconi voleva a tutti i costi farlo «liquefare» nel neonato Pdl, costringendolo ad abbandonare il simbolo del partito e l'amatissimo scudocrociato. Pier disse no, si presentò da solo e i rapporti tra i due toccarono i livelli minimi. Con Berlusconi che non perdeva l'occasione di lodare un nuovo governo in cui non sarebbe stato più costretto a dover mediare su tutto come invece lo costringevano i ministri dell'Udc. Dalle parti del centrodestra invece la spiegazione della rottura elettorale tra il Pdl e i centristi aveva spiegazioni assai meno nobili: Casini aveva posto troppe condizioni e voleva troppe poltrone. Così via Pier e dentro comunque Fini. Un accordo anche con quest'ultimo non proprio filato via liscio visti gli insulti che il Cavaliere ha dovuto ingoiare prima che il leader di An si decidesse a far approdare il suo partito dentro il Popolo della Libertà. Poi, però, a marzo del 2009, con il congresso fondativo del Pdl tra i due sembrava essere nuovamente tornato il sereno. Durato comunque poco. Già in estate il presidente della Camera aveva iniziato a «bombardare» il programma della maggioranza con proposte sulla cittadinanza agli immigrati stranieri e sul biotestamento. Poi, da ottobre gli «strappi» sono diventati più costanti, fino ad arrivare alla crisi di questa estate. E alla rottura definitiva che ormai è davvero a un passo. E allora l'altra carta in mano a Berlusconi è di nuovo Casini. Con il quale Bossi non vuole avere niente a che fare perché i due sono come il diavolo e l'acqua Santa. Tanto diretto, insofferente ai giochi politici il leader leghista quanto temporeggiatore, fautore della trattativa a oltranza l'altro. Ma Berlusconi non ha scelta, se vuole allargare la maggioranza facendo a meno dei finiani non può far altro che recuperare PierFurby. Concedendogli anche qualche posto nel governo. Se invece sceglierà la strada delle elezioni potrebbe anche tentare di farne a meno. Sapendo però che con la sola carta Bossi il piatto potrebbe finire tutto in mano ai lumbàrd.