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Sesso e affari di Stato sempre legati a filo doppio

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Claretta Petacci, amante di Benito Mussolini

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La politica italiana, sotto qualsiasi regime, monarchico o repubblicano, fascista o democratico, non è mai arrivata a correre per questioni di letto, o dintorni, i brividi e le complicazioni avvertite, per esempio, in Gran Bretagna o negli Stati Uniti. Dove, rispettivamente, un Re fu costretto all'abdicazione per potersi godere in pace l'amante, e infine sposarla, e un Presidente rischiò di cadere rovinosamente per una seduta di sesso orale con una stagista nella sala ovale della Casa Bianca. Ma non per questo n'è rimasta immune. Dalla Rosina di Vittorio Emanuele II, il Padre della Patria celebrato con la sua tomba nel Pantheon e con tanti monumenti nelle maggiori piazze d'Italia, alla contessa amante di Umberto I e, più modestamente, alle attrici o attricette che ronzarono attorno al nipote omonimo prima che riuscisse a salire, sia pure per poco, sul trono di un Paese spossato dalla guerra: il fruscio clandestino delle lenzuola non risparmiò certamente i Savoia. Che proprio a quel fruscio, d'altronde, consentirono a Cavour di ricorrere anche per sostenere la causa del Risorgimento mandando la bellissima contessa di Castiglione a corteggiare Napoleone III, l'imperatore francese ancora indeciso se sostenere la guerra del Regno di Piemonte all'Austria. Non parliamo poi delle scorribande sessuali di Benito Mussolini, il Duce che Gianfranco Fini nel 1994, anche a costo di procurare un mezzo infarto a Silvio Berlusconi, con il quale aveva appena vinto le prime elezioni politiche della cosiddetta seconda Repubblica, definì orgogliosamente «il più grande statista del secolo». Il destino gli aveva perfidamente concesso di morire ammazzato, e poi orribilmente appeso ai ganci di un distributore di benzina, con l'amante Claretta Petacci. Restituita l'Italia alla democrazia, la politica non cessò di essere femminile, in tutti i sensi. Al Quirinale, per esempio, sotto la presidenza repubblicana di Giovanni Gronchi, che forse anche per questo non rinunciò a conservare altrove la sua residenza privata e la paziente consorte, ci fu un certo andirivieni di donne che onorarono la fama di sciupafemmine del suo illustre inquilino. Ad un altro presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat, capitò poi di essere coinvolto, a torto o a ragione, in una ridda di voci su una casa di appuntamenti di una signora, in pieno centro di Roma, bene introdotta negli ambienti politici. Al suo successore Giovanni Leone toccò invece l'ancora più spiacevole disavventura di subire pesanti e ingiuste insinuazioni contro la moglie ad opera di un'agenzia di stampa specializzata in ricatti, il cui fondatore e direttore sarebbe poi stato ucciso in circostanze misteriose. Per una questione di donne e di sesso, ai margini dell'affare di Wilma Montesi, trovata morta sulla spiaggia di Torvajanica, era già finita la carriera politica dell'ex segretario della Dc e ministro degli Esteri Attilio Piccioni, il cui figlio Piero era stato ingiustamente coinvolto nelle indagini e nel processo. Nella disavventura politica del povero Piccioni molti videro, a torto o a ragione, lo zampino di Amintore Fanfani. Che dopo molti anni, da ministro degli Esteri del primo governo di Aldo Moro, fu peraltro costretto per ragioni di Stato a dare pubblicamente dell'«improvvida» a sua moglie, Biancarosa, resasi in qualche modo partecipe di una velleitaria iniziativa di pace in Vietnam sgradita in quel momento agli americani. Le critiche alla moglie non bastarono tuttavia a impedire le dimissioni del ministro. Ancora più drammatiche per la politica italiana furono le complicazioni o disavventure familiari di un modesto esponente del Psi milanese nel 1991: Mario Chiesa. Che, separatosi dalla moglie commise l'imprudenza anche di lesinare davanti al giudice l'assegno di mantenimento, procurandosi l'accusa di fare l'avaro a dispetto di tutti i conti tenuti illegalmente all'estero. Ne derivò un'indagine destinata a fare esplodere Tangentopoli e la prima Repubblica, travolgendo per primo Bettino Craxi. Che tra le lenzuola, fra l'altro, non era uno che si limitava a dormire e a praticare la fedeltà coniugale, indotto com'era alla tentazione da un bel po' di spasimanti. Fu femminile anche la mano, quella di Stefania Ariosto, che scatenò la bufera giudiziaria contro Silvio Berlusconi per i rapporti del suo avvocato e amico Cesare Previti con i magistrati di Roma. Altrettanto femminile fu la mano ricattatrice, quella della escort - come si dice mignotta in inglese - Patrizia D'Addario, infilatasi con tanto di registratore tra le lenzuola di un infaticabile Cavaliere. Femminile è infine la mano, quella di Elisabetta Tulliani, la convivente di Gianfranco Fini, che ha finito per surriscaldare, volente o nolente, questa già torrida estate politica.  

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