Ne resterà soltanto uno
Quello che stiamo vivendo sarà ricordato come un agosto tra i più bollenti per la politica e il Paese. Fini contro Berlusconi. Ribelli contro lealisti. Governo in cerca di una maggioranza. Il presidente della Camera dalla sdraio al partito. Sopravvivenza. Logoramento. Volano gli stracci e nel ventilatore c'è un po' di tutto. I parrucconi diranno che lo spettacolo che raccontiamo è indecoroso. In realtà è meglio che questo scontro sia così, aspro, cattivo, netto e senza più possibilità di tornare indietro. È guerra totale, e qualcuno alla fine, una volta per tutte, sarà sconfitto. Fini subisce da tempo l'influenza di un cenacolo intellettuale che l'ha convinto della sua predestinazione a costruire una "Nuova destra". Peccato che non esista, nel Paese reale. Gli intelligentoni chic che blandiscono Fini hanno una visione della vita non solo parziale, ma viziata dal pregiudizio morale, dal benpensantismo terrazzato, dall'appartenenza a un'elite che critica i consumi dopo aver consumato. Sono le parole d'ordine non solo della residuale sinistra al caviale ma di un ben più nutrito e pasciuto gruppo di italici possidenti che non producono nulla ma sopravvivono a qualsiasi regime perché essi stessi sono il vero regime. È questo il vero male dell'Italia. Ne abbiamo avuto un saggio in queste settimane di aspra battaglia politica. Gente che concede interviste pensose mentre guarda le onde frangersi sugli scogli, sagome canute che lanciano appelli mentre stanno al timone dello yacht stagionati signorini che impartiscono lezioni di moralità mentre incassano dividendi dalle loro società off-shore. Una massa di ipocriti che scambia agosto per un mese filosofico e dal ponte in teak ci racconta come va il mondo. Hanno un concetto di democrazia tutto loro e pensano che si applichi solo a loro. In politica estera sono quelli che la democrazia non si esporta, gli iracheni non voteranno mai, gli afgani possono farsi macellare dai talebani e i terroristi in fondo non sono poi così cattivi e qualche ragione per far crollare le due torri ce l'avranno avuta. In politica interna sono quelli che il puzzone di Arcore è un refuso della storia, Bossi un rutto delle valli del Nord, i cattolici praticanti dei poveracci da catacomba, il Papa un intruso che non può nemmeno parlare all'Università, la legge e l'ordine un pericoloso rigurgito mussoliniano. Sono quelli che hanno inneggiato alla libertà di stampa contro Berlusconi e subito dopo hanno invocato il bavaglio per tutti i giornali sulla storia del cognato in affitto di Fini, così, per non insozzare troppo il candido vestito del Presidente della Camera. Ogni volta che incontri uno di questi tipi umani e lo senti snocciolare il rosario di scemenze da lobotomizzato di internet che clicca su Wikipedia e non sa cosa sia l'Enciclopedia Treccani, l'impulso è quello di lasciar perdere e tornare ai libri o semplicemente alla partita di calcio in tv, che rispetto alla loro elaborazione del pensiero è pur sempre qualcosa di altamente intellettuale. Sono quelli che, come Scalfari, cominciano un articolo con un filosofico “sono stufo” e tu, poverino, con gli scarsi strumenti culturali a tua disposizione, non puoi far altro che andare con la memoria alla rubrica che fu di Cuore, quella intitolata “chissenefrega”. Loro sono stufi e, signora mia, c'è da capirli se sognano il cambio di cavallo al gran premio di Palazzo Chigi ma senza passare dalle urne. Abituati a fare e soprattutto disfare con i voti quello che hanno sempre fatto con le azioni delle società quotate, abituati a pensarsi e non contarsi. Mai. Per questo fanno il tifo per un governo tecnico, di transizione, per il papocchio dei papocchi. Hanno coccolato Fini come un peluche (e sono rimasti folgorati sulla via di Montecarlo) e ora si ritrovano davanti lo spettro delle elezioni. Per evitarle spingeranno Fini sul baratro, lo convinceranno che fondare un nuovo partito è cosa buona e giusta e che i voti ci saranno. È la carta dello sfascio. Ma prima di questa ne giocheranno un'altra: cercheranno in ogni modo e con ogni mezzo di evitare le urne, tireranno per la giacca il Capo dello Stato e arriveranno a dire che siccome si vota, è in pericolo la democrazia. Suonano profetiche le righe delle lettere d'addio di Francesco Cossiga: "La sovranità è del popolo". Smemorati.