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Gianfranco rischia di uscire dal Ppe

Fini

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C'è una grana internazionale sulla strada della scissione dal Pdl immaginata da Gianfranco Fini. Se il presidente della Camera arriverà veramente a creare un partito autonomo dovrà automaticamente uscire dal Ppe e poi provare a essere riammesso. E non si tratta di un fatto trascurabile. Dal punto di vista dell'immagine e dei rapporti internazionali l'immagine dell'ex leader di An ne uscirebbe a pezzi. E se fondando il nuovo partito Fini dovesse far cadere il governo Berlusconi il suo rientro nella famiglia europea dei Popolari diventerebbe ancora più complicato. Un problema che potrebbe diventare uno dei motivi più convincenti per persuadere l'ex leader di An a non arrivare a una frattura totale con il Pdl. Gianfranco Fini ha costruito il suo percorso di «affrancamento» dalla destra più dura anche grazie all'adesione al Ppe. Ma arrivare a quel traguardo non è stato affatto semplice, il capo di via della Scrofa ha dovuto fare un'anticamera di anni e alla fine è riuscito a farsi accettare solo perché il suo partito si è sciolto nel Popolo della Libertà. «Il nostro punto di arrivo - spiegava in un'intervista al Corriere della Sera il presidente della Camera il 18 luglio del 2006 - è di portare An nel Partito Popolare europeo entro la prossima legislatura europea». Un cammino che è stato difficilissimo e che si è concretizzato solo con la creazione del Pdl. Ancora a marzo del 2008 il presidente del Partito Popolare europeo Wilfred Martens esprimeva tutte le sue perplessità sull'adesione di An con un secco «ho sempre detto che respingiamo sul piano europeo tutti gli estremismi, di destra e di sinistra». Oggi, se Fini dovesse fondare una sua formazione dovrebbe ricominciare tutto daccapo. Affrontando una strada piena di ostacoli. Lo statuto del Ppe prevede infatti che se da uno dei partiti aderenti se ne forma un altro questo debba nuovamente chiedere l'adesione. Un po' come è successo quando è stato creato il Pdl. Il presidente della Camera dovrebbe presentare tutta la documentazione del suo nuovo partito all'ufficio politico del Ppe, questo si dovrebbe riunire, esaminare i testi, discuterli in un dibattito pubblico e poi mettere ai voti l'adesione. E vista la diffidenza sempre mostrata dai vertici della famiglia europea verso gli «estremismi» politici non è detto che il sì sia scontato. Anzi. Ma c'è un ostacolo ulteriore. Per rientrare Fini dovrebbe ottenere anche il via libera di tutti i partiti italiani che stanno nel Ppe. Cioè Pdl, Udc e Udeur. E per avere questo lasciapassare Gianfranco dovrebbe fare ancora un altro passo, quello che probabilmente gli peserebbe come un macigno, un «amaro calice» che chissà quanto sarebbe disposto a trangugiare: dovrebbe andare da Berlusconi e chiedergli di intercedere per lui. Il premier ha infatti un peso importante nel Ppe e nella Ue, è ascoltato e rispettato. E una sua parola potrebbe spostare il giudizio finale. Un no al rientro nel Partito Popolare metterebbe in serie difficoltà Fini e i suoi uomini. Ad esempio Andrea Ronchi, ministro delle politiche comunitarie. Il quale proprio per il suo ruolo ha contatti quotidiani con i vertici del parlamento europeo e con quelli del Ppe. Potrebbe ancora continuare a ricoprire quell'incarico facendo parte di un partito che di fatto è fuori dai Popolari europei? E quanto risulterebbe appannata l'immagine all'estero di Fini, ritornato leader di una formazione che per forza si dovrebbe collocare a destra del Pdl? Ostacoli non piccoli sulla strada di un nuovo partito. E che, confidano le «colombe» del Pdl e di Futuro e Libertà, potrebbero dissuaderlo dal percorrere la strada della scissione.

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