Le carte di Napolitano

La temperatura politica non accenna a diminuire. Malgrado qualche tentativo di trovare un rimedio estremo alla febbre che ha colpito la maggioranza di governo. O di avviare un dialogo tra finiani e berlusconiani. La chiusura da parte dei primi è stata netta. Le parole del Presidente della Camera - dopo l'approccio, fatto dal sottosegretario Letta di fronte alle spoglie del Presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga, per verificare l’esistenza di margini per una intesa - non lasciano spazio a equivoci: «Chiunque alimenti conflitti, sparando contro le istituzioni, non fa che danneggiare il Paese e gli italiani». Se non interverranno fattori nuovi - e, allo stato delle cose, non se ne intravedono - la crisi politica è destinata ad esplodere. Con le conseguenze e le incognite che tutti paventano. Ma con un esito prevedibile: il ricorso anticipato alle urne. Certo. Verranno messi in essere tutti i tentativi possibili per scongiurare un nuovo confronto elettorale. Ma quante possibilità, in concreto, avranno questi tentativi una volta esclusa - come ha chiarito lo stesso Presidente della Repubblica - l'ipotesi di un governo tecnico? Ben poche davvero, a meno che, ricorrendo alla storica vocazione trasformistica del nostro paese, non si riesca a mettere in piedi un governicchio di tutte le opposizioni con qualche girella di complemento che escluda il Pdl e la Lega. Ma sarebbe un pateracchio, un ribaltone vero e proprio: un Comitato di liberazione nazionale, insomma, senza programma politico e tenuto insieme non già dall'antifascismo quanto piuttosto dall'antiberlusconismo. E, per inciso, vale la pena di rammentare che i governi del Cln - per quanto progenitori della deriva partitocratrica del Paese - riflettevano, almeno, un sentimento di rifiuto del passato fascista, comune alla maggior parte degli italiani, e una genuina ansia di rinnovamento. Oggi, le cose starebbero in maniera molto diversa perché la maggioranza - e una maggioranza consistente - degli elettori si è espressa a favore del centrodestra. Un governo dunque che escludesse il centrodestra costituirebbe un vulnus della volontà popolare e, per ciò stesso, anche della democrazia. Sono, quelle ora fatte, considerazioni ovvie, ispirate dal buon senso. E da una riflessione pacata della situazione. È vero che il potere di scioglimento delle Camere spetta al Presidente della Repubblica, ma è anche vero che egli può esercitarlo, come recita la Costituzione, sentiti i pareri dei Presidenti della Camera e del Senato. E se - ci chiediamo - i Presidenti delle due Camere, come appare probabile da molte loro dichiarazioni ufficiali, fossero di pareri tra loro discordanti? Scioglierebbe una sola Camera, come è pure nei suoi poteri, o provvederebbe, comunque, a cercare di mettere in piedi un governo pateracchio formato da una galassia di oppositori e da qualche voltagabbana? Ammesso che ci riesca, potrebbe farlo. Ma sarebbe un rimedio peggiore del male. Che risolverebbe la crisi politica immediata ma aggraverebbe la "crisi istituzionale". La verità è che l'Italia vivacchia da molto tempo in uno stato di permanente "crisi istituzionale". La cosiddetta seconda repubblica non ha avuto la capacità o la forza di rivedere la Costituzione in modo tale da renderla congruente con lo spirito nuovo e con le esigenze nuove di una politica che aspirava ad essere profondamente diversa dalla logica e dal modus operandi di un parlamentarismo, partitocratrico e correntocratico, tipico della prima repubblica. Poco alla volta, sia pure in maniera surrettizia, molte cose sono, peraltro, cambiate. Il fenomeno della personalizzazione della politica e il nuovo meccanismo elettorale hanno portato a una semplificazione del quadro politico e a un sostanziale bipolarismo, che, di fatto, ha modificato lo stesso ruolo del corpo elettorale. Quest'ultimo, infatti, è stato chiamato non più a dare, con il suo voto, una indicazione puramente quantitativa del "peso" delle forze politiche operanti nel paese ma a "scegliere" fra ipotesi alternative di leadership. Di fatto, l'elettore, nel momento in cui ha messo la sua croce su un simbolo contente un nome, ha esercitato un vero e proprio potere di designazione del capo del governo. E questo è il punto essenziale. Un punto che fa capire come, davvero, siamo in presenza di una "crisi istituzionale" nel senso che esiste ormai una discrasia fra le esigenze del parlamentarismo puro, implicito nella carta costituzionale del 1948, e quelle di un nuovo sistema politico non ancora formalizzato. La "costituzione materiale" si è andata poco alla volta imponendo sulla "costituzione formale". Ed è una circostanza, questa che il Presidente della Repubblica non potrà non tenere presente, qualora la situazione precipitasse fino all'apertura formale della crisi politica, nelle sue eventuali valutazioni.