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La lezione del Presidente

Il senatore Giulio Andreotti alla Camera ardente allestita per Francesco Cossiga

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Non tradire la sovranità del popolo. E rispettare sempre quello che i cittadini hanno deciso con il loro voto. A leggere bene le lettere che Francesco Cossiga ha lasciato ai vertici dello Stato si capisce che oltre ad essere un testamento sono anche una lezione di politica. Un messaggio indirizzato a chi vorrebbe con troppa disinvoltura cimentarsi con pericolose alchimie elettorali. I tre testi (il quarto, inviato al presidente del Consiglio non è stato ancora divulgato) portano tutti la data del 18 settembre 2007, quasi tre anni fa. Dunque non sono stati scritti con un riferimento alla situazione attuale. Ma anche nel 2007 sotto il cielo della politica il panorama non era troppo diverso. C'era un governo Prodi che camminava sempre sul filo del rasoio, con una maggioranza in Senato di soli due voti. E c'era chi prospettava la possibilità, in caso di caduta dell'esecutivo, di governi tecnici. Quindi senza tornare a far votare gli elettori. Insomma una situazione non diversa da quella in cui ci troviamo oggi. Un'ipotesi che certo non scandalizzava Francesco Cossiga, uno che alle spalle aveva più di cinquant'anni di vita politica. Ma proprio dalle lettere che ha lasciato si capisce che si trattava di una scelta che non condivideva. «Professo la mia fede nel Parlamento – ha scritto al presidente della Camera – espressione rappresentativa della sovranità popolare, che è la volontà dei cittadini che nessun limite ha se non nella legge naturale, nei principi democratici, nella tutela delle minoranze religiose, nazionali, linguistiche e politiche». Il messaggio è chiaro: nessuno può sovvertire le scelte che fanno gli elettori, non c'è alcuna giustificazione a governi che tradiscano «la volontà del Popolo sovrano». Che è esattamente il tema che è al centro dello scontro politico di questi giorni e nel quale è stato costretto ad entrare anche Giorgio Napolitano. Tra coloro che pensano a un ribaltone elettorale e quelli che vogliono il ritorno alle elezioni – nel caso la maggioranza non abbia più i numeri in Parlamento – Cossiga stava dalla parte dei secondi. Anche se in un'intervista rilasciata a ottobre al Corriere della Sera aveva comunque ipotizzato, qualora Berlusconi non fosse riuscito a tenere unita la maggioranza, un governo tecnico con Mario Draghi. Ma sempre nella prospettiva di andare il prima possibile al voto. «È realistico immaginare – aveva spiegato – il tentativo di formare un "governo del Presidente", un esecutivo istituzionale che faccia qualche riforma, tenti di rasserenare il clima politico e poi casomai andare al voto». Ma nel «testamento» dell'ex Presidente della Repubblica c'è sempre il popolo in primo piano. «Voglia porgere – scrive nella lettera indirizzata al presidente di Palazzo Madama – ai valorosi ed illustri Senatori il mio ultimo saluto e il mio augurio più fervido di ben servire la Nazione e di ben governare la Repubblica al servizio del Popolo, unico sovrano del nostro Stato democratico». Parole che, lette nella situazione attuale, suonano anche come un richiamo ai dissidenti del Pdl, i finiani. Eletti con la maggioranza non possono «tradire» qual mandat\o che gli hanno dato gli elettori.

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