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Caro Ghirelli, il caso Fini non è risolto

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Gianfranco Fini

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Caro Ghirelli, questo giornale crede che il triangolo Dio, Patria, Famiglia non sia una cosa vecchia, da mettere in soffitta. Non per il gusto di essere antimoderni né per anticonformismo (tutte cose che ci piacciono), ma perché viste le macerie che ci circondano, crediamo che questi punti di riferimento continuano ad essere validissimi. Non siamo bacchettoni e baciapile non pensiamo che tutto possa essere risolto dalla mano pubblica (anzi) e siamo sufficientemente scafati per capire che la famiglia contemporanea è altra cosa rispetto al passato. Non abbiamo l'ansia dei moralizzatori, siamo realisti e uomini di mondo. Tuttavia, questi sono elementi che nel pianeta conservatore (bellissima parola) hanno ancora un senso, costituiscono un baricentro, un minimo punto d'equilibrio in un mondo instabile, per non dire incasinato. Cos'ha fatto Gianfranco Fini? Ha smontato il triangolo e gettato in aria tutti i lati che ora vagano in uno spazio indefinito. Politicamente, ammetterai, è una cosa interessante e, dal mio punto di vista, poco spiegabile. Infatti la destra "moderna" che immagina – legittimamente – il Presidente della Camera, per ora non esiste e fatico a immaginarla. Se la destra non è quel triangolo, semplicemente non è. Fini, senza consultarsi con il partito o con gli ex di Alleanza nazionale, ha impacchettato la tradizione della destra italiana e consumato in una illogica corsa solitaria uno strappo dal Pdl che ha come ruvidissima conseguenza la scissione. Qualcuno dirà che è una rivoluzione culturale. Io penso che se lo è, somiglia un po' a quella di Mao che fece tabula rasa di un'intera civiltà. Tutto questo è avvenuto mentre Fini occupa lo scranno di Montecitorio, cioè ricopre il delicato ruolo di arbitro della partita parlamentare, è il tertius inter pares. Non mi pare una cosa di poco conto, un dettaglio sul quale si possa sorvolare. Un quotidiano come Il Tempo, nato nel 1944 per rappresentare le idee della borghesia (altra parola da rispolverare) non può che affrontare con decisione, rispetto per la notizia e coraggio delle proprie opinioni un tema così intimo alla natura stessa del giornale. Non c'è un solo caso, uno, in cui Il Tempo abbia mai attaccato in maniera personale, gratuita o volgare il Presidente della Camera. Abbiamo fatto giornalismo - con uno stile deciso, come chiede oggi il mercato editoriale - e siamo rimasti fedeli alla tradizione culturale del quotidiano fondato da Renato Angiolillo. Questo per la politica. Poi c'è il caso dell'eredità dell'appartamento a Montercarlo. Sono certo che un fine osservatore del costume politico come te, caro Ghirelli, ha notato almeno un paio di cosette che non vanno in questa storia. Basterebbe che il cognato in affitto, Giancarlo Tulliani, uscisse dal buco nero nel quale s'è infilato e raccontasse la verità sul passaggio della casa della contessa Anna Maria Colleoni a due società off-shore e come caspita sia potuta diventare la sua residenza monegasca. Non mi interessa dov'è la cucina di casa Fini, non sono un appassionato di stoviglie e pensili, ma questa piccola coincidenza del Tulliani nel Principato in una casa che fu di An mi intriga eccome. Chiarito il tutto, Fini resta dov'è, fa politica, fonda o sfonda un partito, insomma fa quel che gli pare. Gli auguro vivamente di riuscirci e tornare a fare il Presidente della Camera senza nessuna ombra che ne limiti l'autorevolezza. Sono domande che si pongono anche le migliaia di lettori de Il Tempo. Quelli che ci leggono da sempre e i tanti che si sono aggiunti in questi mesi. Ho posto delle domande a Fini e non intendo fargli sconti. Sai bene perché: ho auspicato le dimissioni di Claudio Scajola per la vicenda della casa con vista sul Colosseo pagata da non si sa chi; lo stesso ho fatto per le imbarazzanti vicende che tirano in ballo Denis Verdini e Nicola Cosentino, due pezzi da novanta del Pdl. Posso far spallucce per Fini e la sua parentela più che disinvolta? Non credo proprio. Detto questo, veniamo a te, Antonio Ghirelli, decano del giornalismo. E a me, Mario Sechi, direttore de Il Tempo. Sembriamo due buontemponi usciti da una scena di Amici miei. Per due volte mi hai scritto che non eri d'accordo con me, per due volte hai sentito squillare il telefono e dalla mia voce hai appreso le ragioni che stanno alla base delle mie scelte. Sono sempre stato schietto e cristallino. Il mio stile è questo. Preparati Antonio, perché ci saranno una terza, una quarta, una quinta e tante altre volte ancora in cui tu non sarai d'accordo con me. E me lo auguro di cuore, perché vorrà dire che non sto facendo un giornale banale, scontato, prevedibile e dunque inutile. Caro Ghirelli, siamo due persone libere e a Il Tempo abbiamo trovato una grande fortuna: qui dentro quella libertà la coltiviamo e la facciamo crescere.

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