"La morte di Aldo Moro fu il dramma della sua vita"
«È stata una tragedia che ha segnato in un modo indelebile la sua vita, che lo ha reso diverso anche fisicamente. I capelli precocemente bianchi, le macchie scure sulla pelle, i periodi di depressione, sono l'eredità di quel dramma che è stato l'uccisione di Moro e che lui ha vissuto non solo come politico ma anche dal lato umano». È questo il ricordo che sorge immediato e spontaneo a Luigi Zanda, che fu amico e collaboratore fidato di Cossiga, suo portavoce sia al Quirinale che al ministero degli Interni, ai tempi del rapimento Moro e ora vicepresidente dei senatori del Pd. Della movimentata e poliedrica vita dell'ex presidente, il caso Moro indubbiamente rappresenta uno spartiacque, un punto di snodo che segnerà in modo indelebile la sua vita politica e umana. Il sequestro di Aldo Moro (16 marzo-9 maggio 1978) è il momento più difficile della carriera di Cossiga. Il fallimento delle indagini e l'uccisione dello statista democristiano lo costringono alle dimissioni. «Ma davvero, in questo momento doloroso, vuol parlare di quegli anni? Cosa c'è da dire in più di quanto è stato già detto in tutti questi anni, anche dallo stesso Cossiga?» Zanda cerca di trincerarsi. Sui 55 giorni del sequestro, le polemiche e le accuse a Cossiga sembrano non finire mai. C'è chi lo critica per l'inefficienza nella gestione della vicenda, qualcun altro addirittura di aver predisposto un «Piano di emergenza» che non mirava affatto alla liberazione dell'ostaggio. Le accuse sono pesantissime e per anni Cossiga se ne difenderà in modo fermo e tenace. Zanda era al Viminale anche durante i giorni del sequestro Moro e fu depositario della lettera di dimissioni con le quali Cossiga rimise l'incarico. Che ricordo ha del rapporto tra Cossiga e Moro? «Cossiga era legatissimo a Moro. Era l'unico uomo politico verso il quale aveva dipendenza intellettuale, ne riconosceva le qualità, la superiorità. Cossiga era molto orgoglioso, aveva un temperamento forte e questa riconoscimento era davvero insolito. Tra di loro c'era un rapporto stretto, Cossiga andava a trovare Moro diverse volte a settimana». Cosa accadde nei giorni del sequestro Moro? «Il giorno del sequestro Cossiga scrisse la lettera di dimissioni da ministro dell'Interno. Una lettera preparata sia nel caso della liberazione sia che non fossero riuscito a liberarlo. Mi diede la lettera e la tenni per tutti i 55 giorni del sequestro. Quando fu rinvenuto il corpo di Moro, Cossiga decise di dimettersi. Si sentiva responsabile di non essere riuscito a prevenire e a impedire il sequestro. Io lavoravo con lui, assistevo alle sue decisioni minuto per minuto e ho seguito da vicino il suo dramma interiore». Fu a lungo criticato per come aveva gestito la situazione, come reagì? «Aveva una personalità molto forte e non si faceva impressionare nè dalle critiche nè dagli applausi». E durante gli anni di piombo fu comunque nel mirino... «Quegli anni sono stati importanti per la storia nazionale. L'Italia è riuscita a sconfiggere il terrorismo senza emanare leggi speciali al contrario di altre democrazie europee. Cossiga questo l'aveva molto chiaro ed è suo il merito di essere riuscito a mantenere uno stato di diritto». Era un uomo dalle numerose contraddizioni, che ricordo ha del suo carattere, della sua vicenda umana? «Era un uomo di smisurata cultura, di vivacissima intelligenza e di grande sensibilità. Anche i suoi sbalzi di umore, la sua depressione, erano legati alla forte sensibilità».