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L'affronto di Gladio

Francesco Cossiga

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È stato probabilmente l'unico dei tanti segreti che conosceva che non si è portato nella tomba. Ma è stato anche quello che gli è valso la richiesta di impeachment, unico presidente nella storia della Repubblica. Francesco Cossiga e Gladio – la struttura segreta che ha operato in Italia all'interno della Nato durante gli anni della Guerra Fredda – fu l'intreccio perverso che monopolizzò la vita politica italiana agli inizi degli anni '90, fino a quando nel '92 Mani Pulite cancellò tutte le polemiche e cinquant'anni di vita politica. Fu il neonato Pds, guidato da Achille Occhetto, a presentare il 6 dicembre del '91 in Parlamento la richiesta di messa in stato di accusa per l'allora presidente della Repubblica. Tra i firmatari c'era anche Luciano Violante che ieri ha ricordato quella vicenda spiegando che «Cossiga era un uomo che non manteneva rancori e quindi poi siamo rimasti amici». Chi invece si è mantenuto sempre freddo è stato Achille Occhetto, il quale anche ieri ha voluto ribadire la sua posizione sulla richiesta di impeachment: «Le cose vanno inquadrate come sempre nel quadro politico del momento e allora noi individuavamo una deriva presidenzialista e un uso del ruolo troppo disinvolto». La richiesta fu comunque una decisione gravissima giustificata con l'accusa di «alto tradimento». Questo perché Cossiga era a conoscenza della struttura segreta fin dal 1966, quando entrò per la prima volta al governo e ricevette la delega, come sottosegretario alla Difesa, a sovrintendere Gladio. E l'opposizione lo condannava proprio perché, a loro parere, custodendo quel segreto, aveva violato la Costituzione. In realtà a rivelare l'esistenza di un primo «troncone» di Gladio era stato nel 1990 il presidente del Consiglio Giulio Andreotti che aveva autorizzato il giudice Felice Casson ad accedere agli archivi del Sismi sulla strage di Peteano. E fu lo stesso Andreotti a darne comunicazione al Parlamento con due successive comunicazioni, una scritta alla Commissione bicamerale di inchiesta sulle stragi ed una orale alle due Camere. Sui motivi che spinsero l'allora presidente del Consiglio a far cadere il muro di segretezza Francesco Cossiga, nell'autobiografia «La versione di K», dà una sua ricostruzione: «Mi ha risposto che, ormai caduto il Muro di Berlino, non vi era più alcuna ragione per non raccontare come stavano davvero le cose». Cossiga però, una volta venuta alla luce la struttura segreta la difese a spada tratta, spiegando che i «gladiatori erano patrioti, brava gente». Fu l'ennesima esternazione e «picconatura» di un presidente che negli ultimi anni del suo settennato iniziò ad attaccare tutto e tutti, con la giustificazione diventata celebre di volersi «togliere un po' di sassolini dalle scarpe». Ma sul caso Gladio si richiò addirittura di arrivare a una crisi istituzionale perché Cossiga si sentì abbandonato anche dal suo partito, la Dc. E in una lettera inviata il 7 dicembre del '91 minacciò addirittura di autosospendersi se il governo non avesse confermato la tesi sulla legittimità della struttura Gladio. Fu Giulio Andreotti a stemperare la polemica salita a livelli pericolosi tra i due leader democristiani esprimendo pubblicamente la fiducia dell'esecutivo al presidente della Repubblica. La richiesta di impeachment finì in una bolla di sapone e la Procura di Roma richiese l'archiviazione a favore di Cossiga il 3 febbraio 1992 e l'8 luglio 1994 la richiesta fu accolta dal tribunale dei ministri. Ma perché si scatenò quel putiferio nei confronti del Capo dello Stato? Cossiga ne ha dato una sua spiegazione sempre nel libro «La versione di K»: «Il Partito comunista – scrive – sapeva dell'esistenza di un'organizzazione segreta con le caratteristiche di Gladio. Lo dico perché ne fui informato da Emilio Taviani. Perché i comunisti lanciarono comunque quella campagna e perché inserirono i fatti di Gladio tra le accuse che portarono alla richiesta di incriminazione nei miei confronti? Credo di avere la risposta. Quello dei comunisti fu fuoco di controbatteria: era da poco crollato il Muro di Berlino e temevano che potessero arrivare da quella parte notizie di chissà che genere sul loro conto; quindi, per evitare di trovarsi in imbarazzo, cominciarono a sparare nel mucchio. E io fui colpito per primo in quanto presidente della Repubblica».  

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