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Cattolico e liberale

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Cattolico liberale. Preso dalla fede emotivamente, culturalmente, intellettualmente. E però consapevole che la politica si svincola dalla religione. E che è la moralità dell'essere cristiano a farsi essa stessa politica. Eccolo, il Francesco Cossiga credente. Pregava, amava il pellegrinaggio (come faceva spesso al convento dei frati di Assisi), conosceva la teologia e il mondo vaticano. Ma s'inchinava al principio di libera Chiesa in libero Stato. Per questo l'Osservatore Romano ha aperto ieri nel nome di Cossiga e nel cordoglio per la morte lo ha definito «statista cristiano», «figura di spicco del cattolicesimo politico italiano» e, appunto «uomo di Stato», «tra i più prestigiosi e controversi». «Del suo essere uomo di Stato, ed è questa forse la sua particolarità più spiccata - spiega l'editoriale del quotidiano diretto da Giovanni Maria Vian - Cossiga è sempre stato consapevole. Spesso insofferente. Soprattutto, è stato consapevole delle difficoltà, a volte drammatiche, che questo ruolo comporta». La morte di Cossiga ha profondamente rattristato e commosso il Santo Padre, che nei giorni scorsi aveva inviato all'ospedale Gemelli l'arcivescono Rino Fisichella per informarsi delle condizioni del senatore a vita.   Oggi sarà il segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone, a venire all'ospedale dell'Università Cattolica per pregare davanti alla salma. Una sollecitudine che sottolinea quanto Cossiga fosse caro a Benedetto XVI. Lo ha amato per lo spessore umano e l'indipendenza di pensiero. Un papa filosofo e teologo affascinato da uno statista che leggeva avidamente i Padri della Chiesa. Appena Cossiga ha chiuso gli occhi per sempre, papa Ratzinger, che si trova a Castelgandolfo, ha saputo. Si è chiuso nella preghiera. «Era un autorevole protagonista della vita nazionale italiana e un uomo di fede», ha detto, anticipando il messaggio che oggi invierà alla famiglia e al presidente Napolitano. Poi ha affidato alla Radio Vaticana la sua sofferenza per la scomparsa dell'uomo che a 17 anni cominciò a fare politica sotto il simbolo dello scudo crociato. «Papa Ratzinger prega per il presidente emerito della Repubblica italiana e suo amico personale», ha comunicato l'emittente a nome del Pontefice. Il quale avrà certamente ricordato l'agosto di due anni fa, quando «il picconatore» pranzò con lui a Bressanone. Rinnovando la consuetudine del confronto su argomenti teologici e filosofici. Con Giovanni Paolo II il legame fu ancora più vibrante. Wojtyla era l'uomo che aveva smosso la Storia, creato la nuova Europa, senza comunismo, senza Muri, senza le vecchie ideologie. E Cossiga era il presidente che con le esternazioni, le picconate, aveva dato spallate consistenti alla Prima Repubblica. Il mondo non era più come prima. Perché l'Italia doveva continuare a essere come prima, con i due colossi - Democrazia Cristiana e Partito Comunista - contrapposti ormai aridamente? Gli incontri del più giovane presidente della Repubblica e del papa polacco furono frequenti, in quegli anni di «rivoluzione». Sempre però nella consapevolezza di Cossiga che la fede era una cosa, la politica un'altra. E però ci fu un incontro simbolicamente «politico» tra il Papa e il Capo dello Stato. Avvenne a ridosso del 25 aprile 1992, allorché il picconatore diede la sua risposta alla vicenda Gladio comunicando in tv all'Italia che avrebbe lasciato il Quirinale due mesi prima della scadenza del mandato. Cossiga ritenne doveroso andare a congedarsi da Giovanni Paolo II. Un segno di rispetto, ma anche il riconoscimento del ruolo di Wojtyla quale artefice della nuova Europa. Fu ovviamente un colloquio privato. Ma i giornalisti che seguirono l'incontro non dimenticheranno la commozione dei due protagonisti. Il Papa sbucò da una porta, e si protese, tendendo le mani, verso quell'uomo che lo aveva sorpreso per le esternazioni dal Colle e che ammirava proprio per la schiettezza, la libertà dell'animo. Insomma, per quelle doti che erano un po' le sue. Schietto Cossiga è stato anche nel criticare certi uomini della Chiesa. È successo per esempio lo scorso anno con il cardinal Carlo Maria Martini a causa delle sue posizioni eccentriche rispetto alla dottrina cattolica. Il presidente emerito lo attaccò senza troppi fronzoli. L'ex vescovo di Milano aveva pubblicato il libro «Siamo tutti sulla stessa barca», scritto a quattro mani con don Luigi Verzè, il fondatore dell'istituto meneghino San Raffaele. Un saggio che tra l'altro «apre» ai fedeli cattolici divorziati e risposati. Cossiga, in uno dei suoi tipici interventi al vetriolo, dissentì come un leone. Arrivò perfino a rammaricarsi di aver dato, da ministro dell'Interno e come da procotollo, l'assenso alla nomina a vescovo di Martini. Poi chiuse velenosamente: «È un libro non proprio ratzingeriano. Manca però qualcosa: la difesa della pedofilia come recupero di una tradizione dell'ellenismo». Il fatto è che Cossiga aveva come stella polare il rigore della coerenza. Nella politica come nella religione. Un'indipendenza di pensiero che deriva anche dalla sua formazione su Rosmini. San Carlo al Corso, la chiesa dei rosminiani, era una delle sue mete. E sulla tomba del filosofo cattolico, a Stresa, egli si recò nella sua prima visita ufficiale da Capo dello Stato. I dettami del cattolicesimo liberale professati da Rosmini e da Manzoni erano congeniali alla formazione e alla sua visione politica ed etica. La Chiesa cattolica si apriva ai sistemi democratici liberali in contrasto con l'assolutismo, con l'Occidente che già si richiamava alle Costituzioni di tipo anglosassone e alle teorie di Tocqueville sulla democrazia e la separazione dei poteri. Il cattolico liberale Cossiga imparò bene la lezione.  

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