Adesso tocca a Monterotondo
Dopo Montecarlo, Monterotondo. C'è un altro caso che si sta per aprire e che rischia di gettare nuovi dubbi sulla gestione finiana del patrimonio di An. E anche stavolta si tratta della vendita di un altro pezzo dei beni avuti in eredità dalla contessa Anna Maria Colleoni. Forse Fini è a conoscenza della nuova bordata in arrivo, tanto è vero che ha già messo le mani avanti al punto 6 degli otto elencati nella nota diffusa domenica scorsa per ricostruire le fasi della cessione dell'appartamento di Montecarlo. Ha scritto Fini, quattro giorni fa: «Solo per restare nell'ambito dell'eredità Colleoni, alcuni terreni a Monterotondo, un appartamento ad Ostia ed uno in viale Somalia a Roma furono venduti in tempi diversi con le medesime modalità. In nessuna occasione, a partire dalle assemblee nazionali convocate secondo statuto per l'approvazione dei bilanci, alcun dirigente di An contestò o sollevò perplessità sulle avvenute vendite essendo evidente che la "giusta battaglia" cui faceva riferimento il testamento consisteva nel rafforzamento del partito anche attraverso nuovi introiti finanziari e non certo attraverso l'utilizzo di terreni o appartamenti (specie se all'estero) non necessari all'attività politica». Non è andata precisamente così. Perché nelle ultime tre assemblee nazionali ci fu un uomo che votò contro i bilanci. Si chiama Sergio Mariani. Fini lo conosce bene, perché era il suo vice negli anni in cui guidava il Fronte della Gioventù e lui stesso lo volle a capo della segretaria provinciale dei ragazzi romani. Ma soprattutto era il marito di Daniela Di Sotto, che lo lasciò per fidanzarsi e sposarsi con Gianfranco Fini. Storie di un'altra epoca. Di un altro mondo. E lui, Sergio, è l'unico che ha sempre pagato in prima persona, ci ha sempre rimesso e ha agito mai per calcolo. Comunque Mariani, che tutti conoscono col soprannome di Folgorino (un nome di battaglia, in pratica: gli venne affibbiato perché era bassino e veloce, e nei duri anni Settanta arrivò a Roma direttamente dalla Folgore, dove aveva svolto il servizio militare). Oggi Mariani sembra un uomo in pace con se stesso. Quando si riferisce al passato, non lascia trasparire risentimenti o acrimonia per le vecchie storie personali. Anzi, pare che ultimamente abbia ristabilito un buon rapporto con Fini. Ma questo conta poco. Conta piuttosto che Folgorino conosce bene la destra, avendoci vissuto dentro a lungo. E di recente ha raccontato ad alcuni ex colonnelli di Alleanza nazionale la vicenda dei terreni di Monterotondo. Si tratta di un appezzamento messo in vendita dal partito nel 2006. Una proposta per la quale vennero presentate alcune offerte. Anche Mariani porta un compratore in via della Scrofa. Inizia una sorta di piccola asta interna e la trattativa alla fine si riduce a due soli possibili acquirenti. L'offerta dell'uomo presentato da Mariani, che forse a sua volta era in rappresentanza di una banca, è la più alta. Almeno stando alla versione di Folgorino. Ma Donato Lamorte, capo della segreteria di Fini, decide di vendere al secondo miglior offerente. Mariani conosce benissimo Lamorte: è stato suo testimone delle nozze con Daniela. Va dunque nella sede del partito a chiedere spiegazioni. Il braccio destro dell'allora presidente di An gli avrebbe risposto: «Avevo dato la mia parola d'onore che avrei venduto a quell'altro e la parola data per me vale più d'ogni altra cosa». Questa ricostruzione combacia solo in parte con il racconto che fa oggi Lamorte, raggiunto al telefono in vacanza. Lamorte è considerato una figura mitologica nel partito: andava a lavorare alle otto del mattino, dritto nella stanzetta accanto a quella del presidente, a destra in fondo al corridoio, e ne usciva almeno dodici ore dopo: «È vero, c'erano due compratori – afferma – e si scatenò una sorta di asta. Non se ne veniva a capo, perché uno contestava l'altro. Io dissi: "Fermatevi, mettete la vostra ultima offerta in una busta e poi apriamo entrambe". E così abbiamo fatto. Ha vinto una ditta di cui onestamente ora non ricordo neppure il nome. Può essere che l'altra offerta venisse da una banca. Ma non è vero che vinse il secondo in classifica». È questo il punto in cui le versioni di Lamorte e di Mariani divergono. Sostiene il primo: «Mariani? È la prima volta che lo sento chiamato in causa in questa storia di Monterotondo. Lui ha portato un'offerta o un acquirente? Mah, non mi risulta affatto». E Mariani? Niente. Un muro di gomma. Al telefono continua a ripetere «no comment». Non vuole parlare, non conferma. È ancora nella sua tipografia, vicino a via Latina, persino in questo torrido agosto e il massimo che si riesce a ottenere da lui è un invito: «Se si vuole accomodare, le posso offire un buon caffè. Ma non faccia domande perché non avrà risposte». Folgorino però con qualcun altro ha parlato. Continua ad avere rapporti con ministri, viceministri, deputati. Si conoscono da quando erano ragazzini. Solo ad un paio, in via del tutto riservata, ha confidato la storia di Monterotondo. Sono dunque partite le prime verifiche. Secondo Mariani, quei terreni furono venduti per circa 4 milioni di euro, mentre l'offerta del suo amico era più alta, circa 300mila euro in più. Di certo Mariani ingaggiò un'altra dura battaglia: per i manifesti da lui realizzati e non pagati dalla federazione romana di An. Un contenzioso aspro, durante il quale Folgorino arrivò ad attaccare manifesti lungo le strade della capitale per reclamare quanto secondo lui gli era dovuto. Oggi Lamorte sorride: «Ne mise anche uno sotto casa mia, l'ho perdonato. Ci ciamo chiariti, io con quei manifesti non c'entravo nulla». Allora – era il luglio di tre anni fa - Mariani andò all'assemblea nazionale e pronunciò le seguenti sibilline parole: «Per questo e per altro, che ancora non intendo esporre, nella scorsa assemblea nazionale per la approvazione del bilancio consuntivo del 2006 (l'anno in cui furono venduti i terreni di Monterotondo, ndr) pongo il mio voto contario al bilancio stesso». Forse il momento dell'esposizione è arrivato.