Finiani nell'abisso, Bossi vuole il voto
I finiani sono nell'abisso e, dopo giorni nei quali ognuno ha voluto spiegare la propria verità a suon di accuse e di mezze giustificazioni, l'affaire Montecarlo si sta trasformando nella pietra tombale del gruppo di fedelissimi del presidente della Camera. Tutto ormai ruota attorno alla vicenda legata alla famosa eredità lasciata dalla contessa Anna Maria Colleoni ad An che sta diventando il denominatore comune sia delle spaccature all'interno della maggioranza, dove i fedelissimi di Gianfranco Fini e quelli del premier sono ormai arrivati ai ferri corti, sia di impensabili e alquanto innovative alleanze tra partiti che dovrebbero determinare le coalizioni in caso di voto anticipato. Ma è proprio in Futuro e libertà che il caos regna sovrano. Ed è proprio la pressante richiesta di dimissioni del presidente della Camera da parte dell'entourage berlusconiano, rilanciata lunedì dal portavoce del Pdl, Daniele Capezzone, e sostenuta dalla raccolta firme contro il numero uno di Montecitorio dei quotidiani Il Giornale e Libero, che ha provocato la netta reazione degli uomini di Futuro e Libertà. Una reazione apparentemente compatta ma che, sotto sotto, ha evidenziato per l'ennesima volta una distinzione tra le varie anime di Fli. E così, proprio nel giorno in cui il leader della Lega Umberto Bossi dichiara che «è meglio uscire dalla palude e andare subito al voto, solo Fini e il Pd hanno paura delle elezioni», è il deputato finiano Carmelo Briguglio a chiedere un chiarimento: «È molto grave che Capezzone si sia avventurato a chiedere le dimissioni del presidente della Camera. Se parla come portavoce ufficiale noi vorremmo sapere se questa è la linea ufficiale del partito». Rincara la dose invece il capogruppo Fli alla Camera Italo Bocchino, che, dopo aver evitato nei giorni scorsi di commentare la questione monegasca, tuona: «Berlusconi nel momento in cui chiede le dimissioni del presidente della Camera rischia di aprire una crisi istituzionale senza precedenti di cui non sappiamo quali possano essere le conseguenze». Affermazioni dure che sembrano vanificare gli sforzi di chi, anche tra i finiani, confidava nella «verifica» sui 4 punti del programma per trovare un minimo spazio di confronto con il Pdl. Eppure, nonostante trapeli che i finiani stiano pensando a «un contro-programma» da presentare agli ex colleghi del Pdl, qualcuno lascia intendere che non tutte le porte sono chiuse. Ed è il vicecapogruppo Fli a Montecitorio Giorgio Conte a lanciare la proposta: «È del tutto evidente che il caso dell'appartamento a Montecarlo non sarebbe neppure emerso se non fosse per il conflitto politico in atto tra il premier e il presidente Fini. I parlamentari di Fli hanno il dovere di superare la classificazione spesso strumentale tra falchi e colombe, che rischia di offrire un'immagine distorta e mortificata rispetto alla grande unità che caratterizza invece il gruppo fin dalla sua costituzione. Fli non può permettersi di cadere nelle provocazioni di chi ci vorrebbe protagonisti di un conflitto interno per meri interessi di parte». In altre parole Conte invita a evitare ulteriori polemiche e divisioni impegnandosi maggiormente a dialogare con i colleghi di maggioranza. E continua: «Non perdiamo di vista la lealtà al programma elettorale del 2008 e l'impegno a completare il programma di governo. Impegno sul quale pensiamo di poterci confrontare serenamente con le altre forze politiche della maggioranza nell'interesse del Paese». Ma è dalle parole rassicuranti dell'altro vicecapogruppo Fli, Benedetto della Vedova, che il cambio di rotta sembra vicino: «In presenza di una campagna stalinista nei metodi, Fini non si dimetterà mai». Ovvero: se si moderassero i temi forse anche Fini potrebbe cambiare atteggiamento e, proprio continuando su questa scia, ecco che anche il radicale a suo tempo voluto dal premier nel Pdl aggiunge: «Escludo che il presidente del Consiglio abbia dato il mandato di colpire Fini con inchieste giornalistiche ma alcuni direttori per compiacere Berlusconi cercano di mettere in difficoltà il suo nemico interno». Ma se da una parte i fedelissimi di Fini fanno quadrato attorno al loro leader, dal Pdl arrivano le prime considerazioni che invece sottolineano come in Futuro e libertà ci siano diverse modalità di approccio ai problemi della coalizione. Ed è Jole Santelli, deputata del maggior partito di maggioranza a chiedere un chiarimento: «Con quale voce parla Fli? Il costruttivismo politico di Moffa, Menia o Viespoli. Il lealismo programmatico di Conte. L'abbraccio a sinistra di Granata o infine gli ordigni dinamitardi di Bocchino? Per essere un gioco delle parti appare eccessivamente cacofonico, più probabilmente il progetto che ciascuno persegue è diverso». L'altro fronte che il caso Montecarlo ha necessariamente aperto è quello delle nuove sinergie politiche che sembrano nascere all'interno del Parlamento. Un sodalizio sempre più forte è quello tra Fli e l'Udc che anche ieri, affidandosi alle parole del deputato centrista Pierluigi Mantini, ha difeso Fini: «Come possono i garantisti de Il Giornale di casa Berlusconi lanciare una raccolta di firme per le dimissioni del presidente della Camera se non ci sono neppure i documenti? I presunti otto punti da chiarire sono illazioni da praticanti procuratori sovietici, che neppure tentano di dimostrare il vantaggio personale che Fini avrebbe conseguito nella vicenda». Di tutt'altro tono invece le parole del leader dell'Idv che, spaventato da ipotetiche alleanze tra finiani e Pd, tuona: «Le spiegazioni di Fini sono tardive e anche insufficienti - dice Antonio Di Pietro - Se le stesse cose le avesse dette il primo giorno avrebbe evitato una brutta figura e un mese di gogna mediatica. Allora magari erano sufficienti. Ma oggi non possono certo bastare».