La casa a Montecarlo venduta a scatola chiusa
Che succede? È la domanda più gettonata che mi viene posta dagli amici, dai lettori e dagli stessi politici travolti dal diluvio di dichiarazioni dei leader, sottoleader e sottopancia. La mia risposta è all'inglese: «Wait and see», aspetta e vedi. Le palle da biliardo stanno rotolando sul tappeto verde a una velocità impressionante e i birilli stanno cascando uno a uno. La realtà è che nel Palazzo tutti stanno aspettando quello che nei giornali si chiama «il botto». La storia della casa di Montecarlo ereditata da An, passata attraverso due società con sede nel paradiso fiscale delle Piccole Antille e finita nella disponibilità di Giancarlo Tulliani, il cognato in affitto di Gianfranco Fini, non è un temporale estivo. Ho letto e contato con grande interesse le pagine del Corriere della Sera, giornale prudente e istituzionale, ben diretto da Ferruccio De Bortoli. Sei pagine con i seguenti titoli: «Fini, il Pdl chiede le dimissioni»; «Il premier chiama i suoi, ora mobilitazione»; «Il presidente della Camera non cede. Dissidi con Elisabetta»; «L'ex tesoriere pentito. Dovevo rifiutare l'incarico»; «La Rai chiude la porta ai Tulliani»; «Il signor Giancarlo tentato di lasciare la casa di Montecarlo». I reporter forse non vincono all'Enalotto, ma non sono scemi e hanno capito che quella casa è stata venduta a scatola chiusa. Nelle redazioni di tutti i giornali si lavora sulle carte e sui testimoni (molto reticenti) di questa vicenda. E noi de Il Tempo facciamo la nostra parte con scrupolo, diligenza. Guardiamo ai fatti. E in questo numero del nostro giornale ne raccontiamo di interessanti. Roba che fa riflettere. La sveltissima Camilla Conti nell'articolo qui a fianco ha ricostruito con cura tutta la storia della compravendita attraverso le società off-shore, Printemps Ltd, Timara Ltd e Jaman Directors. Sono state costituite poco tempo prima dell'operazione immobiliare sulla casa ereditata da Alleanza nazionale. Coincidenza? Secondo gli esperti del settore - e parliamo di banche d'affari che hanno antenne sensibili e manager di lungo corso nel mare dei paradisi fiscali - che abbiamo interpellato non ci sono dubbi: l'incrocio delle date di costituzione dei trust con quelle delle firme degli atti è un indizio importante. Indica la volontà di chi compra di creare una struttura opaca intorno al business che si stava concludendo. Chi voleva comprare la casa a Montecarlo che fu della contessa Anna Maria Colleoni, decide di farlo creando appositi strumenti finanziari in un paradiso fiscale che non dovrebbe lasciare impronte digitali sull'affaire. A riprova di questo, c'è il non trascurabile fatto che non si opta per la decisione più comoda, cioè quella di utilizzare la legislazione monegasca e gli strumenti finanziari appositi creati dal Principato - che a sua volta, è bene ricordarlo, ha condizioni fiscali di vantaggio - ma si sceglie di andare lontano, in un ambiente più protetto e schermato per gli occhi di quei ficcanaso del fisco. Negli ambienti politici si parla di «italianissimo proprietario» che si cela dietro quelle società. Non so se mai si riuscirà a venire a capo dell'intreccio, ma spero vivamente che la magistratura faccia luce. Nell'interesse del Presidente della Camera Gianfranco Fini prima di tutto. Un leader politico del suo calibro, terza carica dello Stato, ha il diritto di esigere da chi ha guidato l'affare (in primis Giancarlo Tulliani, il cognato, secondo quanto indicato al quarto punto della nota di Fini dell'altro ieri) chiarezza e trasparenza. Secondo quanto indicato da Fini, fu proprio il fratello di Elisabetta a farsi promotore della vendita, a indicare attraverso i suoi contatti nel Principato, il potenziale compratore. E qui veniamo al ruolo di Francesco Pontone, il tesoriere di An. Abbiamo scritto e ribadiamo ancora una volta che si tratta di un galantuomo. La ricostruzione della vendita fatta dal nostro Fabrizio Dell'Orefice a pagina cinque de Il Tempo lo dimostra ampiamente e conferma quanto scriviamo da giorni: Pontone è un semplice esecutore dell'affare. Non tratta la compravendita, non discute sul prezzo, non chiede conto dell'origine dei compratori, non si preoccupa minimamente dell'affidabilità di chi ha davanti perché si sente in una botte di ferro e crede, come un soldato, nella gerarchia e nel comando. Come qualsiasi fedele e leale funzionario di partito obbedisce agli ordini. Gli viene indicato di trovarsi in tal data, in tal luogo ed esegue con la sicurezza di avere un mandato preciso e le spalle coperte. Pontone non sa chi compra la casa di Montecarlo, deve solo firmare l'atto e chiudere la partita. L'indicazione di procedere spedito come un treno gli viene dall'alto, dai vertici del partito, dal suo referente numero uno, Gianfranco Fini e da chi ha giocato la partita in quel momento. Il cortocircuito nasce però nel momento in cui lo stesso Fini dice di non sapere chi sono i compratori. Questo è uno dei punti che scricchiolano della sua ricostruzione. Se non lo sa lui e non lo sa Pontone, chi ha guidato l'affare? E chi si nasconde dietro le società nei paradisi fiscali? Urge una risposta, possibilmente prima del «botto».