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Quando "Folgorino" votò no sul bilancio del partito

Bandiere di Alleanza Nazionale

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Scrive Fini nella sua nota: «Solo per restare nell'ambito dell'eredità Colleoni, alcuni terreni a Monterotondo, un appartamento ad Ostia ed uno in viale Somalia a Roma furono venduti in tempi diversi con le medesime modalità. In nessuna occasione, a partire dalle assemblee nazionali convocate secondo statuto per l'approvazione dei bilanci, alcun dirigente di An contestò o sollevò perplessità sulle avvenute vendite essendo evidente che la "giusta battaglia" cui faceva riferimento il testamento consisteva nel rafforzamento del partito anche attraverso nuovi introiti finanziari e non certo attraverso l'utilizzo di terreni o appartamenti (specie se all'estero) non necessari all'attività politica». Non andò esattamente così. C'è un uomo che alle ultime tre assemblee nazionali di An ha sempre, puntualmente, votato contro il bilancio di An. Questo signore è Sergio Mariani. Un nome che dice poco al grande pubblico, ma che è ben conosciuto nel mondo di An. Mariani era il vicesegretario nazionale del Fronte della Gioventù quando il leader era un certo Gianfranco Fini. Ed era anche il segretario provinciale di Roma. Un tipo bassino e svelto, tanto che veniva chiamato Folgorino. Mariani sposò Daniela Di Sotto, che poi gli porterà via proprio Fini, con conseguenze da tragedia greca, o quasi. Vecchie storie che nella destra romana si tramandano, oralmente, di generazione in generazione. Ma tra Fini e Mariani non ci sono solo questioni sentimentali. C'è dell'altro, e a raccontarlo è lo stesso Mariani, nell'intervento (non a caso fatto slittare sino alla fine, quando in sala erano rimasti quattro gatti) durante l'assemblea nazionale di An del 28 luglio del 2007: «Tutto nasce da un debito per stampa e affissioni di manifesti commissionati ed eseguiti nelle campagne elettorali delle Provinciali 2003 e nelle Europee del 2004 - spiega Mariani, che ha una tipografia, la sua professione - Non entro nel merito giuridico del debito perché anche in questo caso ho citato in giudizio il presidente del partito, Gianfranco Fini, il segretario nazionale amministrativo, Franco Pontone, il presidente provinciale di Roma, Vincenzo Piso e il segretario provinciale amministrativo, Mauro Buttarelli, e quindi sarà un tribunale a stabilire se il debito c'è o non c'è. Quello che mi preme sottoporre alla vostra attenzione è la metologia spregiudicata e irresponsabile che viene usata non da Mariani che dice "i panni sporchi si lavano in famiglia", ma dal capo della segreteria politica Donato Lamorte, che trascina il partito e il presidente del partito in una vetrina imbarazzante e non difendibile quando sa perfettamente che i rapporti tra direzione nazionale del partito e Mariani esistono e sono comprovati da fatture (pagate!) ma che l'oggetto delle fatture è concordato e falso». Denunce pesanti. Vabbè, si può pensare: sono il frutto di beghe personali, tutta una faccenda tra i due, sebbene Mariani se la prenda anche con Donato Lamorte che, oltre a essere il capo della segreteria di Fini, ne era anche stato testimone di nozze proprio con Daniela. Ma la parte più rilevante pronunciata in quello stesso periodo da Mariani è una frase piuttosto sibillina, che non va sottovalutata: «Per questo e per altro, che ancora non intendo esporre, nella scorsa assemblea nazionale per l'approvazione del bilancio consuntivo del 2006 ho dato il mio voto contrario al bilancio stesso». Dunque, Mariani votò contro. Quel giorno Fini incassava senza grandi polemiche gli esodi da An di Storace e Buontempo e rilanciava quasi profeticamente: «Ci riprenderemo i voti temporaneamente prestati ad altri. Se è finito l'orizzonte unitario del centrodestra, questo vuol dire che possiamo essere competitivi anche nel nostro schieramento». Folgorino invece le «altre cose», che allora non intendeva esporre, non le ha mai spiegate. Non ha mai più chiarito che cosa volesse dire. Del resto, non si registrano più suoi interventi pubblici. E, raggiunto al telefono, si chiude dientro un secco «no comment». Ma il Mariani di quel caldo luglio 2007 non va sottovalutato. Al di là delle vicende personali e dei livori, è uno che conosce perfettamente lo stato maggiore dell'allora Alleanza nazionale. Quasi coetaneo di Fini, aveva con lui uno strettissimo rapporto. Proprio qualche giorno prima di quell'intervento all'assemblea nazionale, aveva per la prima volta rilasciato un'intervista all'Espresso, nella quale raccontò che Gianfranco era emarginato, da giovane: «Alcuni di noi sospettarono che fosse un infiltrato della polizia. Una sera decidono di dargli una lezione, bastonarlo. Salgo anch'io in macchina. Lui si accorge del pedinamento, scappa, si infila in un palazzo. Io lo seguo da solo, entro, scendo giù. Trovo Gianfranco rannicchiato in un sottoscala. Mi prende le gambe e mi dice: "Sergio, che colpa ne ho se non ho il vostro coraggio?". Mi sembrò un atto di sincerità. Ho visto il Fini sempre ingessato che si apriva. Diventammo amici». La storia, alle volte, si ripete.

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