E Alfano diventa il moschettiere del Pdl
Angelino Alfano non ci sta. Pier Luigi Bersani - intervistato ieri da Repubblica - stavolta ha proprio esagerato e lui, figura simbolica del governo con i risultati raggiunti contro la mafia, non può stare a guardare. Quello del segretario del Partito democratico è stato un duro attacco: «Non si tratta solo di mandare a casa un governo. Dobbiamo superare una fase lunga sedici anni, non due. Dobbiamo liberarci di Berlusconi», ha tuonato. La pronta reazione del ministro della Giustizia, a Palermo in occasione delle cerimonie di commemorazione dei caduti della Polizia per mano mafiosa, suona quasi come quella di un credibile candidato a coordinatore unico del partito: «Nella loro chiarezza le parole di Bersani sono inaccettabili e di una violenza inquietante. In tutte le democrazie occidentali, di fronte a una vera o presunta difficoltà della maggioranza, le opposizioni chiederebbero di andare al votoper raccogliere leindicazioni degli elettori, ma in Italia non è così», ha chiarito il Guardasigilli. Bersani in effetti alle urne preferirebbe un governo di transizione: «In questa situazione, con la barca che fa acqua, non si può andare a un immediato scontro elettorale. Bisogna affrontare i temi sociali, cambiare una legge elettorale deleteria, bonificare le norme che favoriscono la corruzione», ha spiegato il segretario democratico. Alfano la pensa diversamente: «L'opposizione ha paura delle elezioni e con un gioco di Palazzo vuole disfarsi di chi ha avuto il consenso popolare per sostituire al potere le forze che hanno vinto le elezioni». Quella del Partito democratico sarebbe, insomma, una mera strategia politica di una coalizione poco preparata ad affrontare le urne. Il Pdl, invece, non teme gli elettori. Anzi. Secondo il Guardasigilli, chi adotta questa strategia «sottovaluta gravemente quale potrebbe essere la reazaione di milioni e milioni di italiani che due anni fa hanno votato per questo governo e che si sentirebbero espropriati della sovranità popolare». Il ministro della Giustizia non ha dubbi: «Rispetto ai giochi di Palazzo del '95 sono cambiati uomini e soggetti istituzionali. In una logica bipolare non può accadere che grazie ai tatticismi chi ha perso le elezioni possa ritrovarsi a governare». Niente tattica, insomma. Lo schema è uno solo: vincere le elezioni. Di nuovo.