Occhio, i mercati guardano il debito
La resa dei conti fra Berlusconi e Fini non tiene banco solo nei palazzi della politica ma sta cominciando a scuotere anche quelli della finanza. Nel clima quasi ferragostano di Piazza Affari la temperatura sta salendo insieme alla speculazione. Solo un assaggio di quello che potrebbe succedere a settembre se il governo arrivasse davvero al capolinea. Lo dimostra l'attenzione riservata all'ammutinamento dei finiani dalla stampa internazionale che ha dedicato ampio spazio all'Italia non solo nelle pagine di politica estera ma anche in quelle di economia e finanza. Sull'inglese Telegraph un commento di Ambrose Evans-Pritchard descrive un'«Italia intrappolata nella corsia lenta, mentre la crisi politica si aggrava» sottolineando che il rischio politico «non ha ancora avuto un effetto visibile sui rendimenti dei bond italiani, ma i mercati globali hanno mostrato negli ultimi tre anni la tendenza a ruotare da un paese all'altro con improvvisi scoppi di rabbia per il debito sovrano». In un'intervista al Sussidiario.net lo stesso Pritchard aggiunge che «molti investitori non si sono ancora nemmeno accorti di questa crisi politica, poiché hanno adottato un consolidato punto di vista sull'Italia basato su due certezze: che il debito combinato pubblico-privato è ok e che Tremonti sia un superman. Se Tremonti se ne andasse, questo sì che causerebbe preoccupazione sui mercati. Se il deficit di budget fosse rivisto al rialzo in stile Grecia, Bulgaria o Ungheria da un nuovo governo, questo sì che farebbe scattare gli allarmi». A oggi, i rendimenti dei bond non si sono mossi ma secondo Pritchard una cosa è certa: sia le autorità europee che il Fondo Monetario Internazionale stanno seguendo con grande attenzione il melodramma politico in atto a Roma. Il voto di ieri è finito anche sulle pagine del Wall Street Journal per il quale si tratta della «più grave crisi politica» da quando il partito di Berlusconi è arrivato al potere, nel 2008. Tuttavia, «un immediato crollo del governo è considerato improbabile». Ancora più duro il Times di Londra che in un editoriale non firmato lancia un duro affondo contro il premier italiano: «Per molti è "l'inizio della fine" e se così fosse, sarebbe una buona cosa per l'Italia», scrive il Times che però salva Tremonti: grazie a ministri delle finanze avveduti – ammette il quotidiano britannico - il premier ha consentito all'Italia di tirarsi fuori da una situazione economica «spaventosa» per trovarsi in una situazione «semplicemente indesiderabile». Ma il danno fatto è «sostanziale», l'Italia «ha evitato la crisi del debito della Grecia», ma è «a malapena più stabile». Più diplomatico il Financial Times che attraverso la penna del suo corrispondente Guy Dinmore registra «un senso di totale confusione», poiché non è chiaro come voteranno i finiani. Nonostante tutte le incertezze, con i commentatori che prevedono elezioni anticipate dopo l'estate o all'inizio della primavera, nota però l'FT «gli italiani e i mercati sembrano prendere bene le notizie». Lo stesso quotidiano ha però dedicato nel week-end un ampio pezzo e un editoriale intitolato «E tu, Gianfranco?» nel quale paragonava Berlusconi a Cesare e Fini a Bruto. L'Economist si domanda invece se Fini «è fuori, o ancora dentro per metà?» e nella sua edizione online aggiunge che «la politica italiana è meno stabile di quanto fosse il 29 luglio», il giorno in cui il vertice del Pdl ha approvato un documento di condanna di Fini e dei suoi. Il primo in ordine di tempo a lanciare l'allarme non è stato però un giornale ma uno dei più importanti centri di consulenza macroeconomica della City londinese, Capital Economics, che poco meno di un mese fa ha definito il Belpaese «una minaccia insita all'eurozona» perché «la perenne debole crescita e la montagna di debito governativo hanno trasformato le finanze pubbliche italiane in una bomba a orologeria ticchettante che sta aspettando di esplodere». Non solo. Stando ai calcoli di Capital Economics, in caso di default (ovvero di fallimento) dello Stato, il rischio di perdita per gli investitori esteri in Italia sarebbe di circa 400 miliardi di euro. L'instabilità politica e la possibilità di nuove elezioni alimenta la tensione dei broker stranieri che tengono d'occhio i cosiddetti «credit default swap» (praticamente le assicurazioni contro l'insolvenza) sul nostro debito sovrano: gli esperti temono un effetto «greco» sulla tenuta dei conti italiani anche perché sarà forte la tentazione per il PdL di allargare i cordoni della borsa per intercettare consensi. Il problema è che da qui alla fine dell'anno resta da collocare il 35% del totale dei bond sul mercato: a oggi siamo a quota 315 miliardi in sette mesi ma restano aste per oltre 150 miliardi da qui al 31 dicembre.