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Domande all'inglese per Mister Fini

Gianfranco Fini

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La storia della casa a Montecarlo della contessa Anna Maria Colleoni, passata da Alleanza nazionale a due società offshore e infine affittata al fratello della moglie di Gianfranco Fini, si fa ogni giorno più interessante e, francamente, trovo stupefacente che un politico navigato come Pier Ferdinando Casini parli di «squadrismo intimidatorio» riferendosi a quanto pubblicano i giornali. Squadristi noi de Il Tempo? Squadristi i colleghi del Corriere della Sera? Squadriste le penne di Repubblica? Squadristi i cronisti di Libero? Squadristi gli inviati de Il Giornale? Squadristi i giornalisti del Fatto? Ferruccio De Bortoli con l'orbace? Mario Sechi con il moschetto? Ezio Mauro con il fez? Vittorio Feltri con la bottiglia d'olio di ricino? Maurizio Belpietro con gli stivaloni neri? Marco Travaglio sul balcone di Piazza Venezia? Dulcis in fundo: il settimanale britannico The Economist pone tre domande all'inglese a Mister Fini e il terzo quesito riguarda l'appartamento a Montecarlo. Squadrista anche The Economist? Tutti fogli fascisti contro il postfascista-progressista Fini? In realtà siamo di fronte a una storia che dal punto di vista giornalistico è semplicemente fantastica, un feuilleton dal sapore tipicamente italiano. Ci sono tutti gli ingredienti: le donne, il potere, i soldi, amori e amicizie che si rompono, blasoni di nobiltà e più di qualche miseria. I direttori dei giornali hanno capito che si tratta di una delizia per il palato dei propri lettori che, giorno dopo giorno, si fanno un'idea chiara sulla vicenda e ne traggono le proprie onestissime conclusioni. I moralisti non mi piacciono, le categorie astratte non fanno parte del mio orizzonte. Preferisco il realismo, la valutazione dei fatti e le loro conseguenze. Per questo ho auspicato le dimissioni di Claudio Scajola per la vicenda dell'appartamento con vista Colosseo: era pagato da non si sa chi. Ho seguito la stessa linea sui casi di Denis Verdini e Nicola Cosentino: le accuse sotto il profilo penale sono tutte da provare, ma certi comportamenti politici erano tali da meritare una decisione che liberasse il Pdl dall'imbarazzo. Scajola e Cosentino hanno lasciato l'incarico. Verdini è rimasto al partito e s'è dimesso dalla banca. In questi casi, la linea de Il Tempo è stata chiara: rispetto per la politica, nessun qualunquismo, garantismo e non giustificazionismo. I problemi giudiziari si risolvono in tribunale, quelli politici nelle aule parlamentari e nelle sedi dei partiti. Per questo non ho nessuna intenzione di fare uno sconto a Gianfranco Fini e pensare che in fondo tutto va bene madama la marchesa e pazienza se una casa del partito è finita nella disponibilità del cognato. Immagino sia d'accordo con questa linea anche il capogruppo del Pd alla Camera, Dario Franceschini, che a Montecitorio ha ricordato come in Francia «si dimettono due sottosegretari perché hanno comprato con soldi pubblici dei sigari» e in Svezia «si dimettono due Ministri accusati di non aver pagato il canone della televisione». Qui in ballo ci sono i conti di un partitone che ha incassato contributi pubblici e privati, ha un giornale finanziato dallo Stato e liquidità per 77 milioni di euro. O tutto questo e una casa a Montecarlo valgono meno di due sigari? Il presidente della Camera finora non ha chiarito questa storia. La procura di Roma ha aperto un'inchiesta sulla vendita della casa. I magistrati faranno il loro dovere e giungeranno a una loro verità giudiziaria. A me qui interessa mettere in evidenza alcuni aspetti che dovrebbero indurre tutti a una seria riflessione. L'eredità Colleoni Una nobil signora decide di lasciare in eredità ad Alleanza nazionale i suoi averi. Tra questi, un appartamento a Montecarlo che, con tutto il rispetto, non è Pizzighettone. I valori immobiliari da quelle parti sono stellari. Gli amministratori del partito ricavano dalla vendita dell'immobile una cifra irrisoria: trecentomila euro. Dalle mie parti, li avrebbero già licenziati per incapacità gestionale. Sono rimasti al loro posto. Perché? Lo scaricabarile Il tesoriere del partito è un galantuomo, il senatore Francesco Pontone, una persona mite, un perfetto esecutore di ordini. Pontone in queste ore è oggetto di un vergognoso scaricabarile. È un uomo solo, prostrato, un napoletano che ha servito il partito e il suo leader. La solidarietà è un elemento chiave della politica, ma a Pontone è stato finora riservato il trattamento di un paria. Non se lo merita. Il tesoriere del partito ha agito da solo? Ha firmato la vendita dell'appartamento senza informare il leader? Sono sicuro che Pontone racconterà ai magistrati tutta la verità. Il cognato e Montecarlo Il fratello della moglie di Fini, Giancarlo Tulliani, dopo il passaggio dell'immobile a due società off shore, va ad abitare nella casa che fu della contessa Colleoni. La risposta del povero Pontone sul tema è stata disarmante e denota il suo profondo imbarazzo: «È un fatto casuale». Dunque, riepiloghiamo: casualmente Pontone vende l'appartamento a una società con sede legale in un paradiso fiscale, Santa Lucia, Piccole Antille, Caraibi. Casualmente un'altra società off shore dello stesso paradiso fiscale se la prende a sua volta in carico. Casualmente un signore imparentato con Fini va ad occupare l'appartamento ereditato dal partito fondato da Fini per volontà della contessa Colleoni. Domanda non casuale che si fa l'uomo della strada: se questi sono i fatti, non ci sono troppe casualità? Sono domande lecite e doverose da parte della stampa. Se non le ponessimo, saremmo di fronte a un sistema davvero singolare per cui esiste una «zona franca» per lui e un fossato con i coccodrilli per gli altri. Non è squadrismo chiedere a Fini, fondatore ed ex leader di An, due o tre chiarimenti sull'eredità Colleoni e la gestione del patrimonio del partito. È nel suo interesse spiegare, soprattutto nel momento in cui avvia una nuova avventura fuori e dentro il Parlamento. La politica non è spiegabile con la formula magica della vincita all'Enalotto.

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