Il partito proprietario
Da sedici anni leggo articoli, commenti e saggi contro il "partito azienda" di Silvio Berlusconi. Non mi hanno mai convinto perché presentano il fenomeno del berlusconismo e la natura del suo movimento politico con gli occhi e i pregiudizi di chi pensa ai partiti concepiti nel Novecento. I critici del Cavaliere sostengono che Forza Italia ieri e il Pdl oggi sono sostanzialmente sempre stati sotto il controllo assoluto di Silvio, privi di democrazia interna e dunque "anomali" rispetto a un quadro istituzionale ben regolato. Si è gridato all’attentato alla democrazia per il fatto che Berlusconi nomina i suoi collaboratori, che fa politica grazie al suo potere economico, che agita lo scettro, che il Parlamento è un’assemblea in cui deputati e senatori del centrodestra sono ridotti al ruolo di automi che obbediscono ai diktat del capo e premono il pulsante. È una visione orwelliana delle organizzazioni politiche che ha il vizio di non fare mai i conti con la realtà, con le trasformazioni della società contemporanea, con l’evoluzione dei mezzi di comunicazione di massa e, soprattutto, è un ritornello che viene rivolto sempre e soltanto al Cavaliere quando la realtà offre ben altri esempi, soprattutto in questi giorni. Se quello di Berlusconi è un "partito azienda", allora come dobbiamo definire Alleanza nazionale, il partito fondato e guidato fino a poco tempo fa da Gianfranco Fini? Guardando i fatti senza le lenti del pregiudizio, non possiamo far finta di non vedere che An con la leadership di Fini è stato un partito con una gestione verticistica che non ha mai ammesso discussioni interne, congressi e ha fatto largo uso di espulsioni, ammonizioni e sanzioni disciplinari contro chiunque tagliasse la strada al capo. Un partito in cui si è arrivati al punto di apprendere dai giornali la posizione del proprio leader, Fini, sulla fecondazione assistita. E il dibattito interno? Postumo. Come si vede, il passo dal partito azienda al "partito proprietario" è brevissimo e non risparmia nessuno. Sul Pdl e il patrimonio di An si è già aperta una battaglia durissima. Riguarda i beni immobili, i cospicui contributi elettorali, il giornale di partito, Il Secolo, e ogni altra attività economica e non solo. In questo scenario, la storia dell’appartamento di Montecarlo ereditato da An, ceduto a delle società offshore (cioè con sede legale in paradisi fiscali) e affittato al cognato di Fini, Giancarlo Tulliani, è soltanto la rappresentazione più macroscopica – e più comprensibile per l’opinione pubblica – dei rischi che si corrono quando la gestione di un partito politico diventa personalistica e oligarchica. Su questo punto il Presidente della Camera finora ha tradito le aspettative che aveva creato con il suo messaggio di novello moralizzatore. Fini qualche giorno fa ha salutato la nascita dei suoi gruppi parlamentari e commentato il divorzio dal Pdl con una lunga dichiarazione pubblica, ma ha accuratamente evitato di concedere ai giornalisti la possibilità di porre delle domande. La conferenza stampa non c’è mai stata. E le lecite domande che sarebbero certamente arrivate sull’appartamento a Montecarlo sono rimaste nel taccuino dei cronisti senza risposta. L’unica reazione che il Presidente della Camera ha saputo dare all’inchiesta del Giornale diretto da Vittorio Feltri è stata quella di querelare il quotidiano milanese. Il tutto dopo cinque giorni di imbarazzato silenzio. Francamente, dalla terza carica dello Stato e dal Fini paladino della legalità, ci aspettiamo tutti qualche spiegazione in più. Perfino il Corriere della Sera – sempre prudente e istituzionale – ha cominciato a occuparsi della storia dell’eredità lasciata dalla contessa Anna Maria Colleoni al partito della destra italiana. Vale la pena di ricordare che i partiti sono associazioni private ad adesione volontaria, non hanno personalità giuridica, ma questo non li esime da rendicontare il loro patrimonio e fornire ai propri iscritti un trasparente rapporto di gestione. I partiti incassano cospicui contributi pubblici e privati, possono – come nel caso della contessa Colleoni e An – ereditare intere fortune la cui gestione deve essere saggia e trasparente proprio perché i partiti sono il veicolo attraverso il quale si costruisce consenso nei sistemi democratici. Mi auguro che il Presidente della Camera sappia fornire risposte più convincenti di quelle che finora abbiamo udito. In gioco infatti non c’è un appartamento di An a Montecarlo, ma la credibilità della sua nuova avventura politica. Se sono stati commessi errori, affronti la questione in pubblico e faccia tutto il necessario per spiegarli e correggerli in maniera onorevole; se è tutto in regola e ha le carte per dimostrarlo, le tiri fuori e chiuda questa vicenda. L’unica cosa che la terza carica dello Stato non può fare, per rispetto del suo ruolo, degli elettori e dei militanti del suo ex partito, è restare in silenzio e pensare che ha da passà a nuttata.