Nessun esecutivo di transizione
Continuare l’avventura di governo con questa maggioranza? O allargarla e cercare un nuovo equilibrio in Parlamento? Un governo di transizione? Un esecutivo istituzionale? I lettori si interrogano su quale possa essere il cammino del governo Berlusconi dopo lo strappo nel Pdl. Le soluzioni sono le più varie, ma la posizione del presidente del Consiglio è di proseguire l’esperienza di governo con questa maggioranza. Linea ribadita da Gaetano Quagliariello in questo dibattito con il direttore de Il Tempo, Mario Sechi. Secondo Quagliariello non c’è spazio per un esecutivo di transizione e l’intenzione del premier è quella di andare avanti, ma senza cambiare natura della coalizione. Sechi ribadisce: le elezioni sono l’estrema ratio e in questo momento non una soluzione ma un problema per un Paese che sta uscendo dalla crisi. Debito, aste dei titoli di Stato, ripresa, sono la bussola e chiamano tutti alla responsabilità. E Fini non può pensare di avere mani libere. Caro Sechi, ho letto il suo editoriale di ieri e, le confesso, ne condivido solo una parte. L’altra mi pare troppo contaminata dal virus «futurista» che ha infettato una parte del centrodestra. Insomma, troppo futuribile e troppo in libertà. Lei riconosce che non si poteva più andare avanti così. Che non si poteva mettere a repentaglio la reputazione del governo e del suo leader per le scapigliature quotidiane del Granata di turno. Riconosce anche che l'appartenenza a un partito deve avere un fondamento solido di principi e di moralità (a proposito, le cronache immobiliari di questi giorni evidenziano bene la differenza che passa tra la moralità e il moralismo). Ammette che vi era troppa distanza non su questa o quella legge, ma su questioni di fondo come la legalità, il rapporto tra politica e giustizia, l'idea di laicità, e si potrebbe continuare. E mi pare che divergente sia ormai la stessa lettura del percorso che ha portato il centrodestra al governo del Paese: si sono dimenticate le origini, il faticoso passaggio da una destra giacobina e in fondo minoritaria a una destra liberale, e i reiterati tentativi dei nostri avversari, dentro e fuori le aule parlamentari, per impedire che il riconoscimento popolare di quel percorso potesse avere conseguenze politiche cogenti e tradursi in un nuovo e duraturo assetto della nostra Repubblica. Insomma, Fini e parte di quanti l'hanno seguito sembrano aver rimosso il passato recente. Una sorta di grande amnesia. E forse questo spiega anche il riferimento al futuro che compare nella nuova sigla: efficace come suggestione ma pur sempre, politicamente parlando, una fuga in avanti. Fin qui la parte del suo editoriale che condivido. I miei dubbi si fanno invece più profondi allorquando il nuovo quadro sembra produrre in lei un senso di panico e di agitazione, e la conseguente richiesta di immediati "allargamenti" e nuove formule di governo. È la stessa agitazione, le devo confessare, che ho scorto nelle parole e negli atteggiamenti dei leader di una sinistra che mi è parsa sterile e, peggio ancora, politicamente masochista. Stiamo ai fatti, e i fatti sono semplici. La scissione dei gruppi parlamentari porta chiarezza politica e morale nella composizione delle aggregazioni, ma non modifica il quadro di sostegno al governo. Lo ha detto Fini. Lo hanno ribadito, sia in pubblico che in privato, la gran parte di coloro che hanno aderito ai nuovi gruppi. Il governo e la maggioranza hanno il dovere di credere loro, e dunque di continuare a operare senza timori e timidezze. In molti non se ne sono accorti, ma in questi giorni, tra tanti schiamazzi, la maggioranza e il governo vanno in vacanza avendo approvato una manovra economica per certi versi epocale, che ha consentito all'Italia di fronteggiare la crisi europea senza perdere quella coesione sociale che in altri Paesi (anche guidati da governi di sinistra) è stata messa a ben più dura prova. E in Senato è passata una riforma dell'università che riabilita meritocrazia e competizione, chiude la lunga stagione dell'egualitarismo, pone le premesse affinché le risorse non siano più sprecate, e ha visto anche la convergenza di una parte dell'opposizione. Dobbiamo andare avanti con questo passo, senza titubanze. Qualora l'opera di denigrazione e logoramento dovesse continuare, ormai dall'esterno e non più dall'interno, avremo sempre la possibilità di dire al Paese chi sono gli irresponsabili che, in un momento economicamente difficile, provocano le elezioni anticipate. Caro direttore, non c'è spazio né politico né numerico per governi di transizione, larghe intese e pasticci simili. E noi abbiamo un vantaggio: le elezioni non le vogliamo ma ce le possiamo permettere. Altri no. E per questo il loro agitarsi appare privo di senso politico. Sono certo che lei non li seguirà e, con il suo giornale, non sarà tra quanti produrranno schiuma al fine di confondere le idee e offuscare in Italia e all'estero l'immagine di un governo che sta ben operando. Un'ultima annotazione. Accanto a Berlusconi, in questi anni, non è maturata una cerchia di "yesmen" o cattivi consiglieri, ma una classe dirigente degna di questo nome. Lo dimostra, senza tema di smentite, ciò che è stato fatto in questi due anni a livello di governo, a livello parlamentare, a livello politico. Questa classe dirigente non sarà la Destra storica ma è pur sempre, le assicuro, il meglio che questo Paese ha a disposizione.