La lezione americana della Fiat
Sergio Marchionne è bravo. Ma con i soldi altrui. È questa l'accusa che, a mezza bocca, gli rivolgono in questi giorni, i conservatori di destra e e di sinistra che osservano con grande fastidio l'offensiva di un manager che spiazza i luoghi comuni, dà una sveglia a sindacati e Confindustria e mette il governo, che pure si tiene alla larga da questioni che scottano, di fronte ai fatti compiuti. E poi, mentre qui infuriano le polemiche, va ad incassare l'elogio di Barack Obama, il presidente Usa che gli ha fornito i miliardi necessari per far bella figura in Chrysler. Partiamo da qui, da queste accuse un po' campate in aria, per capire se esiste una lezione americana da applicare alla Fiat italiana. Oppure se dobbiamo rivendicare "la nostra storia", politica e sindacale, rassegnandoci alla diversità dell'Italia, l'unica parte del gruppo stabilmente in perdita e che, nota Marchionne, finora è stata in piedi solo per il lavoro degli operai in Brasile, Polonia o Turchia. Partiamo dai quattrini, quelli forniti da Washington (e pure da Belgrado) mentre, si badi bene, in Italia li metterà, se li metterà, la Fiat. Certo, il governo federale ha dato fiducia e mezzi finanziari alla Fiat in circostanze assolutamente eccezionali ed irripetibili. Nell'aprile del 2009 quasi tutti, negli Usa, erano convinti che l'industria di Detroit fosse spacciata. A partire da Chrysler. E quando Lawrence Summers, il principale consulente economico del presidente, fece presente che esisteva un'offerta in arrivo dalla Fiat, malconcia azienda italiana, nella sala si sentì una grande risata, quella di Steve Rattner, l'uomo cui venne poi affidato il compito di seguire i piani di salvataggio federali, assai scettico sulla scommessa Marchionne. Ma Obama, che pure da giovane squattrinato aveva posseduto una Fiat ("una Ritmo che mi lasciava a piedi una volta su due…" pare che abbia dichiarato) restò serio: al punto in cui siamo arrivati, fu il suo ragionamento, dobbiamo rischiare. E la Casa Bianca non si limitò ad anticipare i quattrini (anticipare, si badi bene, non regalare) ma si accollò l'onere di fare pressing su banche, private equity e creditori vari, favorendo l'esito positivo delle complesse procedure fallimentari in tribunale. Intanto, sul piano normativo, venne messa a punto in tempi rapidi una serie di regole per favorire lo sviluppo dell'auto pulita. In parallelo, il sindacato dell'auto, l'Uaw avviò una rapida e riservatissima trattativa con Marchionne e la Casa Bianca: la Veba, cioè la finanziaria che garantisce l'assistenza sanitaria e che controlla i fondi pensione dei dipendenti e dei pensionati Chrysler accettò, in cambio dei suoi crediti verso l'azienda, il 65% delle azioni di Chrysler che, in quel momento, valevano zero (e così viene stimato ancor oggi nel bilancio Fiat il 20% assegnato al Lingotto in cambio delle tecnologie "pulite). Insomma, i dirigenti del sindacato hanno fatto una scommessa indecente: se Marchionne avesse fallito, decine di migliaia di lavoratori e pensionati, più le loro famiglie, si sarebbero trovati senza sanità, pensione o busta paga in uno Stato, il Michigan, che ha un tasso di disoccupazione del 22-23%. Ma se Marchionne, come pare, riuscirà a portare Chrysler in Borsa nel 2011 ad un valore di 20 miliardi di dollari, i fondi pensione potranno assolvere al loro compito. Per favorire la riuscita dell'impresa, l'Uaw, sindacato e padrone, ha sottoscritto un patto di ferro: stipendi ridotti della metà per i neo assunti niente scioperi di qui al 2015. E chi sgarra, oltre ad essere licenziato, sarà citato in tribunale dal sindacato per inadempienza contrattuale. Ma qui nessuno pensa a protestare o a rivendicare le condizioni ottenute vent'anni fa, nei tempi delle vacche grasse: non esiste un buon contratto se la fabbrica chiude, è il motto del presidente del sindacato. Insomma, la lezione americana comprende: a) un governo che fa le regole e favorisce la ricerca industriale; b) un'amministrazione che, sotto stretto controllo a vista eroga quattrini che andranno comunque restituiti, pena conseguenze severe: in America, in questi casi, si va in galera; c) un sindacato unitario che sottoscrive gli impegni e li rispetta; d) lavoratori che pensano a difendere il proprio posto, consapevoli che, in caso di fallimento, non ci sarà partito, intervento della politica o trasferimento di denaro pubblico che li salverà dalla fame. Ecco l'insegnamento in arrivo da Detroit che, in un mondo sempre più piatto, sta giusto dietro l'angolo.