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Pdl verso la sospensione dei finiani

Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi

Deferiti Bocchino, Granata e Briguglio

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 Fosse per lui lo caccerebbe subito. È quello che Silvio Berlusconi va ripetendo ai suoi interlocutori già da ieri sera e ancora questa mattina: "Voglio Fini fuori dal partito, trovatemi il modo, l'importante è cacciarlo". Ed è infatti su questo che stanno ragionando in queste ore i dirigenti del Pdl. Accanto a un documento politico nel quale si sottolinea l'incompatibilità politica del Presidente della Camera e dei suoi uomini, potrebbero esserci anche dei provvedimenti disciplinari nei confronti dei cosiddetti finiani. SOSPENSIONE DAL PARTITO - Il premier non gradisce mezze misure, per lui la strada giusta sarebbe quella della loro espulsione o in ogni caso di un messaggio chiaro che non lasci spazio a fraintendimenti e sancisca la rottura anche dal punto di vista mediatico. Ma i dirigenti incontrati anche in queste ore gli avrebbero spiegato che, Statuto alla mano, si tratterebbe di una procedura lunga e complessa. Meglio forse, sarebbe stato il suggerimento, valutare l'opzione della sospensione, anche questa prevista dall'articolo 48 della carta delle regole del Pdl. Un cartellino giallo con la sanzione della sospensione, dai tre ai sei mesi, più che l'espulsione per i finiani troppo fuori linea. L'ufficio di presidenza del Pdl di stasera, in un modo o nell'altro, dovrebbe sancire carte alla mano la rottura tra i cofondatori del partito unico del centrodestra. "Non ci sono più le condizioni per restare nella stessa casa", reciterebbe l'incipit del documento redatto per "sfiduciare" Gianfranco Fini, mettendolo politicamente in mora per un ruolo da leader politico più che da terza carica dello Stato. GOVERNO A RISCHIO? - I finiani intanto preparano le relative contromisure e aggiornano la conta di quanti, alla Camera e al Senato, si dicono pronti a uscire dai gruppi parlamentari per costituirne di propri.  Di più, in campo c'è addirittura l'ipotesi di un'uscita degli uomini di Fini dal governo, con l'appoggio esterno di parlamentari che fino ad ora sono ancora parte integrante della maggioranza e domani potrebbero distinguersene. Scenari pesanti, dove l'assenza di un vero e proprio cartellino rosso si deve solo alla difficoltà procedurale di far scattare una vera e propria espulsione dal partito, o a quel minimo spazio che ancora è lasciato ai pontieri. Ancora al lavoro, ad esempio, al Senato per scongiurare la separazione almeno in un ramo del Parlamento. Ipotesi che comunque producono l'effetto di una febbrile contabilità sui reali numeri dei dissenzienti e sulla possibilità di acquisire il sostegno di altri parlamentari. Ne va della stabilità del governo. Come può pensare di chiedere di resettare tutto se due giorni fa aveva chiesto le dimissioni di Verdini e aveva coperto Granata?, avrebbe chiesto retoricamente Berlusconi ieri sera nel corso del vertice. INTERVENTO IN PARLAMENTO - Stamane poi, incontrando altri dirigenti alla Camera, avrebbe ribadito la volontà di "rompere" e di andare fino in fondo nella "guerra" con Fini.  Berlusconi avrebbe inoltre deciso di intervenire in Aula in Parlamento. Non più però a Montecitorio, sembra, bensì al Senato. Anche per evitare di trovarsi di fronte, spiegano, alla nutrita pattuglia di finiani che va componendosi alla Camera dei Deputati. L'intervento del premier consisterebbe innanzitutto un duro attacco all'uso politico della giustizia. I due protagonisti oggi si sono sfiorati ma non hanno scambiato neanche un cenno di saluto. Entrambi proprio nell'Aula della Camera , Fini sullo scranno del presidente, Berlusconi nell'emiciclo a parlare con deputati della maggioranza, resta deluso chi aspettava un cenno, o un confronto come quello nell'ultima direzione. Persino Umberto Bossi oggi non lascia molto spazio all'ottimismo: "Berlusconi e Fini? Si arrangeranno loro...  Io ho gia' le mie beghe". L'IPOTESI DEI "SETTE GIORNI" - A ridosso dell'Ufficio di Presidenza del Popolo della Libertà a Palazzo Grazioli e dell'approvazione del documento di "forte censura politica" nei confronti della componente parlamentare vicina alle posizioni del presidente della Camera, si fa sempre più realistica l'ipotesi che, se dovesse concretizzarsi la sospensione, i provvedimenti dovranno essere convalidati dallo stesso Ufficio di Presidenza "nella prima riunione successiva all'emissione", come recita lo Statuto. Non è tuttavia da escludere che l'Ufficio dia però i canonici "sette giorni" ai dissidenti per cercare di rientrare nei ranghi, correggendo e limando le posizione espresse in questi giorni. Ma la possibile costituzione fin da subito di gruppi autonomi sia alla Camera che al Senato da parte dei finiani non può che essere letta come il primo passo verso la scissione.  

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