La coppia e un divorzio tormentato
Così siamo giunti all'epilogo. Il divorzio fra Silvio e Gianfranco sembra vicino. Fini ha lanciato un appello a «resettare tutto», ma se cadrà nel vuoto, non ci sarà affatto una separazione consensuale. Le vicende ultime del Pdl assomigliano tanto a quelle narrate nella celebre commedia noir di Danny De Vito, La guerra dei Roses: la storia, cioè, di una coppia, apparentemente perfetta, la cui convivenza comincia a traballare dopo il matrimonio e si conclude tragicamente, con la morte dei due protagonisti, al termine di litigi che li porteranno a danneggiare la splendida abitazione che ognuno dei due avrebbe voluto per sé. Il rischio infatti che il Pdl in quanto tale sia costretto a uscire di scena, magari per i problemi connessi alla proprietà e all'uso del simbolo, esiste davvero. Come pure esiste il rischio della morte politica almeno per uno dei due contendenti, Gianfranco Fini, il quale sembra sempre più intenzionato proprio come i protagonisti di La guerra dei Roses, a portare avanti un conflitto senza mezzi termini, una battaglia destinata a non fare prigionieri, nei confronti di Berlusconi. La morte politica, sì, perché le lusinghe ammiccanti dell'opposizione rivolte alla terza carica dello Stato non possono essere che contingenti e strumentali. Una volta ottenuto l'obiettivo della caduta del governo o, ancor meglio, di una liquidazione di Berlusconi, un eventuale futuro politico di Fini nelle file dello schieramento di opposizione non sembra ipotizzabile. Quanto meno perché, da quelle parti, risulterebbe sempre imbarazzante una figura come la sua: e ciò non tanto perché ne potrebbero essere rimessi in discussione i motivi e la sincerità della «conversione» politica quanto piuttosto perché la sua personalità risulterebbe ingombrante nella corsa alla conquista di posizioni di leadership nella quale si misurano, senza risparmio di colpi, capi e sottocapi. Del resto, anche l'ipotesi di costituire un nuovo partito composto di fedelissimi è velleitaria. Quale potrebbe esserne la collocazione? Non certo a destra, perché i temi agitati da Fini e dai suoi fedelissimi con la destra, e anche con il centro-destra, non hanno nulla a che fare, come, qualche giorno fa, Camillo Langone ha messo in chiaro dalle colonne de Il Foglio polemizzando con Fabio Granata. Ma neppure a sinistra dove c'è un affollamento di soggetti politici, o aspiranti tali, che lascia ben poco spazio a nuovi venuti. E allora? Allora, nella migliore delle ipotesi, questo nuovo partito, quando non fosse spazzato via dall'inesorabilità del meccanismo elettorale, sarebbe pur condannato a vivacchiare di stenti ai bordi dell'arena politica. Quale che sia il futuro immediato del Pdl, il fatto è che si è giunti a una situazione che conferma quella tradizione secondo la quale le fusioni, a freddo o a caldo, di partiti rappresentati in Parlamento sarebbero destinate al fallimento: quasi una sorta di «maledizione storica» che ha colpito, nel corpo dei decenni, più volte e della quale hanno fatto le spese, per esempio, monarchici e socialisti. Perché è avvenuto tutto ciò? Il motivo c'è. L'idea di fondo di Berlusconi – quella non di dar vita a una «fusione» ma di creare una forza politica nuova che non avesse neppure la parola «partito» nella sua ragione sociale – non ha potuto realizzarsi nell'incontro con Alleanza Nazionale, «partito nuovo» rispetto al vecchio Movimento Sociale Italiano, ma «partito vecchio» e tradizionale quanto a struttura organizzativa e a modalità di gestione della lotta politica. Mettendo in soffitta il vecchio armamentario ideologico del neo-fascismo e dell'alternativa di regime, AN aveva finito per diventare, di fatto, il punto di ritrovo e convergenza del moderatismo e del conservatorismo italiano, relegando in un cono d'ombra l'anima giustizialista e giacobina della tradizione missina. Questo moderatismo e questo conservatorismo – intrisi di liberalismo, di vocazione riformistica e anche di garantismo – hanno poi trovato la loro casa naturale nella iniziativa politica di Berlusconi che ne ha assorbito e valorizzato i capisaldi ideologici, dall'anticomunismo al rifiuto dell'anticlericalismo, per non dire del recupero di certi valori tradizionali. Stando così le cose, il conflitto non poteva che, in un tempo più o meno lungo, esplodere e la convivenza delle due anime non poteva che diventare difficile. Ed è quello che ormai è accaduto. Il divorzio non è più evitabile. Ma è evitabile l'epilogo tragico della Guerra dei Roses.