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Il Cav prepara lo scacco matto a Fini

Il presidente della Camera Gianfranco Fini e il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi

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Un silenzio che è come una pausa prima della tempesta. Ma prima di scatenarla Berlusconi misura le mosse. Se fino a qualche giorno fa era ancora incerto il quadro del rapporto con Fini: ovvero se ritentare la ricucitura o andare alla rottura, ora questa ultima strada sembra un percorso obbligato. Il problema ora però, come sostengono nell'entourage del premier, è di individuare il terreno su cui realizzare lo strappo. Fini finora si è mosso sul terreno giudiziario facendosi alfiere della legalità e della moralità. Uno dei più stretti consiglieri del premier riporta questo ragionamento: rompere con il presidente della Camera sulla questione Verdini e quindi sul terreno della giustizia rischia di mettere Berlusconi in una posizione di debolezza.   Il premier si troverebbe contro anche il Quirinale. Fini va quindi stanato su altre tematiche. Ed è per questo che finora il premier ha scelto la linea di non rispondere alle provocazioni che arrivano da Fini. Attende che il presidente della Camera faccia un passo falso, ovvero che parta all'attacco della riforma del sistema politico diretto che è uno dei pilastri del Pdl. Fini, in quanto cofondatore del Pdl, mettendosi contro questa riforma, si tirerebbe di fatto fuori dal Pdl. Berlusconi, a quanto sostengono i suoi consiglieri, vorrebbe sfidarlo proprio su questo piano e provocare il passo falso sul piano strettamente politico. A questo punto Fini apparirebbe come colui che non solo si dissocia dal programma fondativo del Pdl ma lo ostacola. Il premier quindi non punterebbe alle elezioni anticipate. Se il berlusconismo non vive giorni buoni, la leadership del premier è solidissima quanto a gradimento. Un recente sondaggio dice anzi che i punti persi da uno strappo con Fini sarebbero inferiori a quelli di una ricucitura. Alcuni giorni fa una tabella è arrivata sul tavolo di Berlusconi, compilata dai vertici del partito. Nel testo si elencano i parlamentari del Pdl per categorie: berlusconiani, finiani e finiani in bilico. Con risultati non del tutto rassicuranti per l'area del premier.   La pattuglia composta dai finiani e dai finiani in bilico potrebbe contare su 32-34 deputati e 13-14 senatori. Il conto che si fa in casa Pdl è che di fronte a una crisi, 7-10 deputati e 3-5 senatori potrebbero sfilarsi, assetando il nucleo che fa capo al presidente della Camera a circa 25 deputati e 9-10 senatori. Numeri che basterebbero per costituire gruppi parlamentari autonomi, ma soprattutto in grado di far traballare il governo a Montecitorio o addirittura, secondo i più pessimisti, di tenere in vita un governo diverso per cambiare magari la legge elettorale. Anche i fedelissimi di Fini fanno i conti e sostengono che ci sarebbero alcuni parlamentari azzurri per ora rimasti defilati, pronti a uscire allo scoperto al momento opportuno. Oggi Generazione Italia presenterà numeri di iscritti e circoli, ma con l'occasione ribadirà la forza delle proprie truppe parlamentari. Pdl e Lega alla Camera possono contare su 330 deputati, Pd-Idv-Udc-Api su 277. Basta trasferire 25-30 deputati da una componente all'altra ed ecco che gli equilibri cambiano, con il governo appeso magari ai voti di partitini. Al Senato la situazione, numericamente, sembrerebbe di poco più tranquilla. Per i pessimisti, nel calcolo andrebbero considerati i senatori a vita, che durante il governo Prodi sostennero e non poco il centrosinistra. Ieri Berlusconi è intervenuto sulla vicenda dei riconteggi in relazione alle elezioni regionali del Piemonte. «Mi auguro che non si voglia ribaltare per via giudiziaria la scelta dei piemontesi». Ma a stringere d'assedio Berlusconi non c'è solo Fini. Il ministro Tremonti è sempre più forte nel governo e ci si attende che prima o poi decida di incassare i dividendi del salvataggio del sistema Italia dalla crisi. Ieri il premier lo ha incontrato insieme a Bonaiuti e al capogruppo alla Camera Cicchitto. Era previsto in serata un vertice con il gruppo del Pdl della Camera ma che è saltato. La spiegazione che rimbalza a Montecitorio è che il vertice avrebbe portato a una sorta di investitura di Tremonti come gran regista della manovra economica con un Parlamento di fatto esautorato. La Camera, con la fiducia, non ha toccato palla. Intanto ieri dal coordinamento di Ravenna è partito un ricorso formale al collegio nazionale dei probiviri del Pdl per espellere Fabio Granata dal partito. A presentarlo è stato Alberto Ancarani vice coordinatore vicario del Pdl cittadino.  

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