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Si giocano il futuro del Paese

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Caro Rebecchini, ho auspicato le dimissioni di Denis Verdini dal coordinamento del Pdl in tempi non sospetti. Non per cieco giustizialismo, ma per garantismo e amore della politica, della sua necessità e trasparenza. Sapevo cosa sarebbe successo e quale prezzo avrebbero pagato il Pdl e Berlusconi.  Il Pdl, Forza Italia, An, gli ultimi sedici anni di politica italiana sono un'esperienza con luci e ombre, ma come ho scritto qualche settimana fa sul berlusconismo, la storia dirà che i meriti sono più grandi dei demeriti. Eppure queste settimane sembrano un finale di partita a perdere, un inutile esercizio a perdere. La sua lettera segue quella di molti altri militanti, simpatizzanti, elettori, semplici cittadini che hanno votato il partito fondato da Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini e, improvvisamente, non riescono a riconoscersi più in quella creatura pur avendo ancora fiducia nel Cavaliere. Da un lato ci sono quelli che non capiscono le posizioni di Fini, dall'altro ci sono quelli che non comprendono come si possano dare le dimissioni dalla banca e non rassegnare quelle dal partito. E in mezzo ci sono quelli - tantissimi - che storditi da quel che accade cercano di orientarsi e darsi una risposta plausibile. Nonostante il casino, il frastuono e la tentazione di rispondere con la pancia e non con il cervello, cerchiamo di dare un senso a questo guazzabuglio. È inutile girarci intorno, la posizione di Denis Verdini era destinata a diventare un caso più grande di quel che immaginava lo stesso Berlusconi. Io non so cosa abbiano raccontato al Cavaliere, ma faccio giornali da quando indossavo le braghette corte e so come funziona questo circo. Era chiaro cosa sarebbe successo, era più che scritta la parabola di questa vicenda e per questo mi attendevo un passo indietro del coordinatore dal partito. Avrebbe evitato tanti imbarazzi al Pdl, dato allo stesso Verdini una maggiore libertà di difendersi, evitato di doversi confrontare con lo stridore della policy aziendale (della banca) che ha più unghie e influenza della politica (del partito). Paradossale. Caro Rebecchini, la sua storia è limpida e le sue posizioni culturali e politiche parlano chiaro. Per questo la sua lettera la trovo mirabile e istruttiva, rappresenta un mondo che si sente smarrito, ma nello stesso tempo è tenace, non rinnega la sua storia e chiede risposte certe. Il centrodestra sta vivendo una crisi interna di vaste proporzioni, quando un partito immagina espulsioni e scissioni, quando le parole d'ordine sono «o guerra o pace» è lampante che non siamo al «va tutto bene» e alle scaramucce dell'asilo Mariuccia. Il Pdl, lo ripeto per l'ennesima volta, è a un punto di non ritorno o di svolta. Berlusconi e Fini devono decidere il futuro di questa legislatura. Hanno rotto patti e piatti, hanno litigato sulla pubblica piazza, ora non hanno molte vie d'uscita: o stanno sotto lo stesso tetto o divorziano. La mia sensazione, netta, è che siamo vicini a una scissione del Pdl in due tronconi. Gli esiti? Imprevedibili. Lei, caro Rebecchini, immagina le elezioni come la soluzione del problema. Ne fa, giustamente, un problema istituzionale, di legittimità e sovranità. Cose fondamentali, senza dubbio. Ma io sono abituato a guardare i numeri, i cosiddetti fondamentali di un Paese, lo scenario globale e non solo il nostro cortiletto, e le assicuro che l'Italia è in una situazione difficile. Se qualcuno si prendesse di leggere bene gli studi dei think tank delle banche, i documenti che girano vorticosamente nelle banche d'affari internazionali e nelle agenzie di rating, troverebbe il nome dell'Italia accostato pericolosamente al «Club Med», cioè quel gruppo di Paesi che si affacciano sul Mediterraneo e hanno bilanci sotto pressione, un debito pubblico mostruoso e aste di titoli di Stato con il fiato sospeso. Al posto di Berlusconi e Fini darei una lettura a quel che si scrive sul nostro futuro prossimo in caso di crisi di governo. Non è radioso.  

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