Napolitano è il miglior garante della continuità di Berlusconi
L’altolà opposto da Giorgio Napolitano ai giornalisti parlamentari che gli avevano offerto il tradizionale ventaglio di fine luglio, ma anche ai politici che ne alimentano cronache, retroscena, interviste e quant'altro, non sembra che sia stato raccolto o capito da chi prospetta scenari più o meno immediati di crisi e di nuovi governi. Non c'è peggiore sordo - si sa - di chi non vuole sentire. Antonio Di Pietro, per esempio, ha improvvisamente smesso di reclamare elezioni anticipate ed ha lanciato al presidente della Camera Gianfranco Fini l'appello a rompere con Silvio Berlusconi più di quanto non abbia già fatto per partecipare ad una «coalizione della legalità». Massimo D'Alema, tra un impegno e l'altro di presidente del Comitato parlamentare di controllo dei servizi segreti, per non parlare del nuovo incarico assunto a livello europeo per tenere viva la causa di un socialismo peraltro ripudiato in Italia, dove i post-comunisti hanno privilegiato i rapporti con i post-democristiani di sinistra tanto da costruirci insieme un partito, si prodiga in incontri e informazioni per costruire il dopo-Berlusconi. Che non deve confondersi con il nuovo governo dello stesso Cavaliere proposto da Pier Ferdinando Casini a base parlamentare più larga, alla quale l'Udc sembra pronta a concorrere, forse pure con Francesco Rutelli, anche senza il partito di D'Alema. Eppure il presidente della Repubblica, dalle cui valutazioni non si può prescindere per cambiare governo, era stato venerdì scorso di una chiarezza e perentorietà estreme dicendo: «Non mi interessano scenari politici ipotetici di nessuna specie». Ed aveva aggiunto, rivolgendosi ai giornalisti ma - ripeto - anche ai politici assenti, se non soprattutto a loro: «Siete voi che almanaccate su queste cose. Io vi ho invitato a non chiedermi nulla su ciò. A maggior ragione sono costretto a ripetermi: non chiedetemi nulla». Se non gli può chiedere nulla, il povero e frastornato cronista e osservatore politico può tuttavia cercare di interpretare il Capo dello Stato nel suo rifiuto di lasciarsi coinvolgere nei tentativi in corso di costruire non solo e non tanto un dopo-Berlusconi, ma un dopo-Berlusconi senza Berlusconi, anzi contro di lui. Non credo che sia né bizzarro né temerario il sospetto che a infastidire il presidente della Repubblica siano in parti uguali il cattivo gusto di quanti vorrebbero confezionare soluzioni sulle quali egli dovrebbe passare lo spolverino di un decreto e la paura di potersi prestare ad operazioni di raggiro del corpo elettorale. Che due anni fa diede a Berlusconi una nettissima maggioranza, peraltro confermata in più di un turno successivo di elezioni regionali, comunali e provinciali, ed avrebbe il sacrosanto diritto di pronunciarsi se il presidente del Consiglio dovesse perdere per strada un pezzo della sua coalizione. La chiave delle elezioni anticipate è messa dall'articolo 88 della Costituzione solo nelle mani del Capo dello Stato. Non gliela può certo sfilare, per usarla al suo posto, il presidente del Consiglio eventualmente sgambettato dai finiani, che fecero liste comuni con lui nelle ultime elezioni prima ancora di confluire l'anno scorso nel Pdl. Ma non gliela può sfilare, per impedirgli di usarla, neppure l'opposizione aggirando il sistema bipolare con operazioni di mero trasformismo parlamentare. È proprio questa chiave che Napolitano ha mostrato di volere stringere giustamente tra le mani ricevendo il ventaglio di questa torrida estate politica.