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Fini smette di parlare di etica e usa le parole della destra

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Gianfranco Fini e Italo Bocchino

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Il «compagno Fini» s'é tolto l'eskimo ed è tornato sui suoi passi. Un nuovo corso per il presidente della Camera. Una conversione o meglio una riconversione, per riuscire nel disperato tentativo di ritagliarsi quel ruolo di leader della destra al quale sembrava avesse abdicato nella speranza di far breccia nel mondo della Sinistra. E così, incapace di trasformare in consensi elettorali tutti quegli applausi e tutte quelle dimostrazioni di stima di coloro che un tempo erano i suoi avversari, Fini cambia strategia. Di sicuro non ripeterà più «niente di male se mi dicono di sinistra» come fece in un'intervista a Panorama l'anno scorso: quelle parole non solo non portano voti, ma ne fanno perdere. Dopotutto è proprio il suo vecchio amico e colonnello di An Altero Matteoli che, lanciando un messaggio a Berlusconi, lo mette sulla giusta strada: «Silvio, finché Gianfranco si è mosso su questioni come la bioetica, la cittadinanza e il voto agli immigrati, è rimasto confinato su posizioni minoritarie nel partito e nell'elettorato. Ma intestandosi la battaglia sulla legalità cambia tutto: così si impadronisce di una bandiera di destra, di un tema che è popolare».   E così, legalità e popolo diventano immediatamente le parole chiave di quello che, come preannunciano i sondaggi, potrebbe diventare l'ancora di salvezza di Fini. Legalità nel Pdl ma anche fuori. Basta quindi, come dimostrano i malumori tra gli ex An, con dirigenti di partito tartassati da inchieste e che comunque rimangono ai vertici. Basta con sottosegretari che si dimettono dagli incarichi di governo ma che non accennano a lasciare la gestione del Pdl a livello territoriale. Il malessere del «popolo» Fini lo interpreta e cerca di trasformarlo in consensi. Ed è proprio un finiano doc come il deputato Giorgio Conte a spiegare che le vicessitudini di Verdini e Cosentino con la conseguente difesa di Berlusconi «non hanno fatto altro che aumentare il plauso dell'opinione pubblica verso Fini e verso la sua battaglia sulla questione morale del Pdl».   La stessa cosa che Fini ha fatto a Palermo lunedì scorso quando ha deciso di sfilare in occasione del 18esimo anniversario della strage di via D'Amelio dove morì il giudice Paolo Borsellino. Il presidente della Camera torna così, dopo due anni di assenza, a testimoniare il suo impegno in difesa della giustizia. E quella stessa gente con tanto di agende rosse sventolate in aria che aveva appena annunciato di voler impedire al presidente del Senato Renato Schifani (Pdl) di sfilare, lo accetta riconoscendo nel suo lavoro lo sforzo di difendere la legalità. Il popolo gli dimostra di esserci. Ora la scommessa di Fini è quella di andare a riprendersi quello che era il «suo» popolo. Al Nord la battaglia sarà sulla sicurezza. Quella bandiera che era di An ma che la Lega è riuscita a strappargli. Eppur qualcosa inizia a muoversi. Almeno per quanto riguarda il gradimento. Infatti stando all'ultimo sondaggio di Crespi se Fini costituisse un proprio partito che fino a poco tempo fa era stimato attorno al 4% oggi oscilerebbe tra il 10 e il 12%. Il solco è tracciato. L'eskimo riposto. A Fini non resta che completare la trasformazione.

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