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Questo Paese è immobile. Serve aria fresca

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Aria fresca. È quella di cui, cari lettori, avremmo bisogno tutti. E non parlo solo del clima, dell'afa, delle temperature torride. Tutto questo passerà tra qualche settimana, ma la sensazione di chiuso, di polveroso, di ragnatela appoggiata sui mobili di casa, la tela appiccicosa che sta avvolgendo l'Italia, quella resterà e ci accompagnerà nell'autunno e nell'inverno e chissà ancora per quanto. Aria fresca. Me lo diceva un imprenditore mentre parlavamo, davanti a un caffè, di viaggi americani, di frontiera, di innovazione, di invenzione e azione. «Ho sempre bisogno di aria fresca», mi diceva. È quello di cui avrebbe maledettamente bisogno questo bellissimo Paese, l'Italia.   Tutti i giorni con i miei editorialisti de Il Tempo ci ritroviamo di fronte alla stessa domanda: cosa commentiamo oggi? E non possiamo fare a meno insieme di guardare, sconsolati, il nostro breve orizzonte, uomini e donne che hanno avuto la fortuna di nascere in un Paese stupendo, ma nello stesso tempo bloccato, senza ricambio generazionale, inerme di fronte alle caste e alle corporazioni, immobile. Aria fresca. Quella che si respira da altre parti, che pure la crisi l'hanno vissuta sulle loro spalle e però non rinunciano a guidare la ricerca industriale, a dare un senso alla vita nelle arti e nelle lettere, a cercare la speranza senza dover per forza esser avvinghiati e sopraffatti dalla paura. America, Cina, India, Russia, Brasile, quelli chiamati «Bric countries» continuano a dimostarci che per andare avanti bisogna credere nel proprio destino, avere fame e coraggio, provare a migliorarsi e cercare nuove strade per chi verrà. Aria fresca. Non quella asfissiante del dibattito politico del Belpaese che sempre più m'appare qualcosa di poco serio, di autodistruttivo, di respingente per chi cerca un senso alla propria esistenza, piccola, non ricca per forza di beni materiali, ma piena di vita e valori semplici in cui credere.   Le nostre cronache m'appaiono marziane, il discorso pubblico una Babele. Fermatevi e riflettete, prima che sia troppo tardi. Ricevo tante lettere di padri di famiglia che hanno perso il lavoro e non riescono a trovarne un altro. Sono colme di dolore e alcune hanno il tono sinistro della rassegnazione. Non è solo un problema italiano, ma di tutto il Vecchio Continente, di un'Europa ripiegata su se stessa: non c'è una vera risposta all'occupazione, si guarda con ossessione alla partita doppia nazionale e ai dettati della Bce, ma ben poco si fa per la crescita, lo sviluppo e i posti di lavoro. Aprite le finestre, dateci aria fresca.  

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