Candidati di rigore se Silvio cade
Ogni volta che si sente aria di crisi, appaiono come gli uomini della Provvidenza o, se volete, della Previdenza. Mario Draghi e Giulio Tremonti. Il governatore di Bankitalia e il ministro dell'Economia. Il banchiere che viene da Goldman Sachs e il giurista transitato a Oxford. L'americano vicino a Wall Street e l'europeo vicino a Colbert. Mario e Giulio, due nomi latini, roba da gens romana, così italiani eppure così distanti dal costume italico. Suadente e quasi freddo il governatore, tagliente e spesso rovente il ministro. Draghi figlio della Capitale irradiata dal sole. Tremonti creatura delle brume nordiche. Due facce della stessa medaglia con lo Stellone, entrambi destinati a segnare - in un modo o nell'altro - il postberlusconismo che verrà. Berlusconi governa, ma la domanda che cresce nel Palazzo è sempre la solita: cosa succede? E a ruota: e se Silvio cade? E infine il vero dilemma: chi sarà il prossimo? C'è chi scommette sulle elezioni, chi le auspica, chi lavora per evitarle, chi è pronto a giurare che Berlusconi riuscirà a superare questo difficile giro di boa. Chi scrive ha l'impressione che, in ogni caso, gli scenari del domani o dopodomani si stiano disegnando oggi. Non sappiamo il quando, ma il cosa e il come emergono. La giornata di ieri ne ha dato un esempio: Tremonti superava la prima prova di fiducia per la sua finanziaria europea, mentre Draghi spiegava ai banchieri riuniti all'Abi che bisogna accelerare il rientro dal deficit e la manovra presenta «incertezze» da ponderare. Zac! un taglio netto rispetto alla sfida tra Berlusconi e Gianfranco Fini. Verrebbe da dire che è un altro mondo, ma in realtà è una dimensione parallela, pronta a sostituire un giorno quella che oggi appare in bilico. Tremonti e Draghi sono l'immediato, il futuro prossimo e forse anche il futuro tout court di un Paese in eterna transizione. Sono pre-destinati a qualcosa che continua anche dopo Berlusconi. Giulio vara la manovra del rigore, scommette sulla tenuta «dell'accordo del toscano» (nel senso di sigaro fumato a pochi metri da un cartello con la scritto divieto di fumo) con Bossi fondato sul federalismo fiscale, incassa la fiducia, non cede niente né alle Regioni né ai Comuni, ha il sigillo dell'Europa. Mentre il Presidente del Consiglio è impegnato a tamponare la crisi interna del Pdl, sostituire pezzi vaganti di governo e tenere insieme la baracca, Tremonti tiene la partita doppia e gioca la sua partita da tripla. Un grande industriale italiano che conosce bene la politica qualche giorno fa mi diceva: «Tremonti sta facendo esattamente quel che deve fare uno che sta studiando da prossimo presidente del Consiglio, non si immischia nelle liti del Pdl né tantomeno apre bocca sui problemi giudiziari della maggioranza». Tremonti è in pista. La situazione è talmente incerta che i fantascenari sono il gioco di società à la page. Eccone uno, per deliziarvi: Berlusconi lascia l'interim dello Sviluppo Economico e per imbarcare l'Udc dà il ministero a Lorenzo Cesa, poi si libera di un ingombrante Tremonti spedendolo alla Bce, mentre all'Economia piazza il pezzo da novanta, Mario Draghi. Fattibilità del progetto? Prossima allo zero. Ma questo la dice lunga sull'aria che si respira, sul clima non da ultima spiaggia, ma da papocchio balneare che aleggia nel quadrilatero della politica romana. I disegni di Massimo D'Alema sono l'ultimo pezzo del puzzle semivacanziero. A differenza di Pier Ferdinando Casini, il migliore del Pd non prevede Berlusconi a capo di un esecutivo d'emergenza nazionale. Chi allora? Qui salta obbligatoriamente fuori dal cilindro l'ultimo nome evocato, quello di Draghi, l'uomo della finanza, l'altro «rigorista», il governatore di Bankitalia che da Palazzo Koch si catapulta a Palazzo Chigi. Premier e non ministro di un governo Berlusconi è un'altra faccenda. Per formazione e senso dello Stato, nonché per tradizione di via Nazionale, Draghi non potrebbe dire no a una chiamata. Non ci sono dubbi che si tratti di un uomo capace e colto, dotato di grandi doti diplomatiche, attento alle relazioni, pignolo, con un faro benevolo dei giornali sempre acceso sui suoi discorsi. L'ultima assemblea di Bankitalia l'ha segnalato per la sobrietà delle sue Considerazioni finali, qualche garbata punzecchiatura e una chiosa di tremontiana speranza: «Anche la sfida di oggi, coniugare la disciplina di bilancio con il ritorno alla crescita, si combatte facendo appello agli stessi valori che ci hanno permesso insieme di vincere le sfide del passato: capacità di fare, equità; desiderio di sapere, solidarietà.Consapevoli delle debolezze da superare, delle forze, ragguardevoli, che abbiamo, affrontiamola». Sembra il testamento di una persona che si prepara proprio a quella sfida. Ah, i giochi di Palazzo.