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Draghi l'economista che parla già come un premier

Il governatore di Bankitalia Mario Draghi

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Impossibile non pensare a lui come uno dei papabili premier dell'Italia che verrà. Mario Draghi è governatore della Banca d'Italia, istituzione avvolta da un'aura sacrale sulla capacità di leggere i numeri dell'economia. E che in Italia ha sempre rappresentato uno dei punti verso i quali levare lo sguardo per trovare l'uomo in grado di far superare al Paese la distruttiva miscela di crisi e tensione istituzionale. Accadde già nel 1993 quando nell'imminenza della caduta della Prima Repubblica, sotto i colpi di Tangentopoli, fu chiamato Carlo Azeglio Ciampi, fino ad allora Governatore di Bankitalia, a guidare un governo che dovette arginare a colpi di sacrifici la caduta verticale della credibilità internazionale dell'Italia. Oggi sulla stessa poltrona siede Draghi. E non è un mistero che nei salotti buoni il suo nome sia ripetuto spesso quale possibile nuovo «traghettatore». La storia si può ripetere. Schivo e riservato, Draghi non ha mai incoraggiato la sua candidatura al governo. Al contrario non ha mai smentito un suo possibile atterraggio sulla plancia di comando della Banca Centrale Europea al posto dell'uscente Jean Claude Trichet. Anche se da abile tessitore non ha mai brigato palesemente per arrivare a Francoforte o cercato cordate di supporto. Già, lui è abituato a essere chiamato, non a proporsi. Potrebbe così accadere che da uomo di istituzione abituato a trattare con i capricci della politica non si tiri certo indietro in caso di una chiamata. In cuor suo ci avrà sicuramente pensato. Sono i piccoli segnali, impercettibili a dare una traccia. La sua presenza a casa Vespa nella cena con Casini e Berlusconi non è passata inosservata. Nei corridoi di Via Nazionale parlano di un atteggiamento soft e attendista nello spiegare ai suoi dipendenti la possibilità che sia loro richiesto qualche sacrificio sugli stipendi. Non c'è nessun obbligo di blocco dei salari, la Manovra lo esclude distintamente, salvo lasciare discrezionalità. Per ora però tutto è rinviato a dopo l'estate. Un modo per non urtare la suscettibilità dei suoi collaboratori. Tenere buoni tutti. Evitare fronde interne in un momento cruciale e di snodo per la sua carriera. Draghi ha fatto sempre così. Mai contrapposizioni e scontri frontali. Quando era alla Direzione Generale del Tesoro lavorò senza problemi con ben otto presidenti del Consiglio di diverse estrazioni politiche. Sempre accontentati. Nel suo mazzo ci sono anche altri assi nel caso fosse tirato per la giacchetta verso Palazzo Chigi. L'amicizia nata sui banchi del collegio Massimo con personalità di gran calibro. Negli anni del liceo, ad esempio, Draghi aveva tra i suoi colleghi Luca Cordero di Montezemolo (anche lui con i motori accesi per una discesa in campo sempre però puntualmente negata). Non solo. Se Tremonti ripete all'ossessione che senza rigore nei conti gli operatori finanziari internazionali abbandonerebbero a un destino incerto il debito sovrano italiano, Draghi sarebbe, in caso di chiamata alle armi, l'unico insieme a Giulio a raffreddare le tentazioni speculative. A fare da scudo a chi potrebbe far esplodere il differenziale con i titoli tedeschi la sua reputazione, elevata, nei board delle banche d'affari anglosassoni nella quali ha passato un pezzo della sua vita professionale. Insomma i numeri ci sono. Gli sponsor li troverebbe sia all'interno sia all'esterno del Paese. Tra le ipotesi di fantapolitica circolate nei giorni scorsi anche quelle di un Tremonti premier, Draghi all'Economia e Cesa (Udc) allo Sviluppo Economico. Fantapolitica come detto. Ma ieri all'assemblea dell'Associazione Bancaria Italiana, Draghi un po' da premier plenipotenziario ha parlato. Sulla manovra ha sottolineato: «Se la correzione possa effettivamente consentire di raggiungere gli obiettivi di indebitamento netto potrà essere valutato solo nei prossimi mesi». «La stima degli effetti del contrasto all'evasione presenta incertezze, in entrambe le direzioni» ha aggiunto. Un riflesso condizionato delle memoria. Quando Amato varò nel 1992 la mastodontica Finanziaria da 92 mila miliardi di lire l'effetto reale alla fine si fermò a 65 mila miliardi. Ergo, questa manovra fatta è giusta ma è solo un primo tassello di una strategia di austerity che durerà ancora a lungo. E richiederà altri sacrifici agli italiani. Probabilmente sulle loro pensioni. Chi meglio di lui, parte terza e non politicizzata, potrebbe far accettare l'amara pillola ai pensionandi. Già chi meglio di lui.

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