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Democratici in stato confusionale

Il segretario del Pd Pierluigi Bersani

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Vorrebbero un governo di transizione, ma anche no. Magari guidato da Giulio Tremonti, ma anche no. Qualcuno pensa alle primarie. Altri corteggiano, senza successo, la Lega. Altri ancora lanciano appelli. Davanti alle difficoltà della maggioranza il centrosinistra viaggia, come sempre, in ordine sparso. Incapace di costruire una vera proposta alternativa che non si fondi sulla speranza che, prima o poi, Silvio Berlusconi decida di autoeliminarsi. Molto dipende dallo stato di salute del Pd che, oscilla tra l'immobilismo e l'autolesionismo. Il segretario Pier Luigi Bersani, nel bel mezzo della settimana più importante della legislatura, è partito per gli Stati Uniti. Certo, non poteva sapere che sarebbe esploso il «caso P3», ma sapeva perfettamente che la battaglia parlamentare sulla Manovra e sul ddl intercettazioni sarebbe entrata nel vivo. Lontano dal palcoscenico politico italiano Bersani è stato costretto a rilasciare interviste e dichiarazioni a go go.   Ma non sempre con le sue parole ha espresso una linea chiara. Giovedì sera, ad esempio, commentando l'ipotesi di un «governo di transizione» lanciata da Massimo D'Alema (e respinta da prodiani e veltroniani) era stato tiepido: «Io non dico sì a niente. Io dico solo che noi siamo pronti a discutere il superamento della fase berlusconiana. Bisogna però vedere a quali condizioni, e oggi non ci sono gli elementi per discutere di condizioni». Ieri ha cambiato tono e ha aperto al governo di transizione fissando addirittura dei paletti: «Delineare un percorso che avesse un esito prefissato e che prevedesse anche un cambio dei meccanismi elettorali» e preclusione assoluta a Berlusconi premier. E qualcuno sostiene che a far cambiare idea al segretario sia stata una certa insofferenza nei confronti di D'Alema che lo ha scavalcato con la sua proposta dando l'idea di voler dettare la linea al partito. In effetti, mentre Bersani fa l'equilibrista dall'altra parte dell'Oceano, in Italia Baffino è assoluto protagonista. Il lìder Maximo ha stretto un patto di ferro con Enrico Letta vicesegretario del Pd ma, a tutti gli effetti, antagonista di Bersani. Nel frattempo sogna e lavora ad un governo di transizione guidato da Giulio Tremonti. Lo ha detto piuttosto chiaramente nell'intervista rilasciata due giorni fa al Corriere della Sera. I bene informati raccontano di un incontro tra il ministro dell'Economia e un esponente Pd molto vicino al lìder Maximo in cui Giulio si sarebbe dichiarato pronto a scendere in campo, ma solo davanti ad un'uscita di scena di Berlusconi. Proprio per questo D'Alema ha invitato il centrosinistra a non cavalcare la via giustizialista convinto che, in questo modo, più che indebolire il Cavaliere lo si rafforzi. Meglio quindi restare fermi sperando che le contraddizioni interne alla maggioranza portino alla sua implosione. Qualcuno, però, fa notare che con la sua intervista, Baffino ha in parte svelato i suoi piani mettendo in allarme il premier che, non a caso, ieri ha tuonato contro la sinistra che cerca «di far diventare maggioranza la minoranza, con un gioco di prestigio». E un altro che forse potrebbe rimanere in silenzio è sicuramente Dario Franceschini. Il capogruppo del Pd alla Camera gode di un inaspettato momento di celebrità grazie al fatto che il Parlamento è il posto in cui i Democratici provano a dare qualche segno di vita. Si è potuto intestare le battaglie per le dimissioni, poi ottenute, di Aldo Brancher e Nicola Cosentino, ma ogni tanto esagera. Gli era già accaduto qualche settimana fa quando, un po' ingenuamente, aveva dichiarato che il Pd era pronto a votare gli emendamenti finiani al ddl intercettazioni, ieri ha replicato invitando i finiani a votare gli emendamenti del Pd. E anche Italo Bocchino, il provocatore per eccellenza degli uomini vicini al presidente della Camera, non ha potuto far altro che declinare l'invito («il nostro voto favorevole andrà soltanto agli emendamenti del capogruppo Costa e della presidente Bongiorno»). Bella figura, non c'è che dire. Ma ad impensierire Bersani non è solo il protagonismo di D'Alema e Franceschini, ieri Nichi Vendola ha iniziato ufficialmente la corsa verso le primarie che, presumibilmente nel 2013, sceglieranno il nuovo candidato premier del centrosinistra (il governatore pugliese sogna una sfida con Fini). Nel Pd si minimizza spiegando che non è il momento di parlare di primarie e che i problemi sono altri. Forse, però, farebbero bene a preoccuparsi anche perché, come spiega il senatore Pd Enrico Morando, «il governo è in carica e purtroppo per il Paese non prevedo che cada da qui a breve tempo. Ma se dovesse cadere non vedo un Pd in grado di governare e quindi l'unica soluzione sarebbe il ritorno alle urne».  

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