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Fini rinsalda l'asse con Casini contro Tremonti e la Lega

Gianfranco Fini

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Silenzio. Anche per Fini il giorno dopo le polemiche e il brindisi per il siluramento di Nicola Cosentino sono ore in cui si evita qualunque commento sull'attualità. Nulla. Dal fronte berlusconiano arrivano anche segnali contraddittori: alle volte minacce di rottura, in altri casi messaggi di pace. In ogni caso il presidente della Camera è in una condizione di forza. O comunque si sente in quel modo. Dopo la direzione nazionale del partito, era fine aprile, il voto nell'assemblea aveva certificato che con lui c'era una decina di esponenti di partito. Ora l'aria è evidentemente cambiata. E Fini si trova a puntare l'indice della legalità e della moralità contro Berlusconi. Un'arma che può fruttargli sempre più consensi all'interno del Pdl e che mette sempre più in difficoltà anche gli ex An che hanno scelto di stare con il Cavaliere. Fini prende tempo, sa che più le lancette scorrono più le condizioni di un eventuale accordo sono migliori per lui. Fa sempre più asse con Pier Ferdinando Casini, che non a caso gli giunge in soccorso attaccando il ministro dell'Economia, l'unico nel centrodestra che può sbarrare la strada a Fini: Per il leader dell'Udc Giulio Tremonti, ha agito da «garante» infilando nelle pieghe della Manovra «troppe furberie pro-Lega». «Si chiedono sacrifici a tutti, ma si privilegiano i furbetti delle quote latte», insiste Casini. In mattinata Fini aveva partecipato invece a un dibattito sul Sud andando in contrasto con le accuse dello stesso Tremonti: «Si può discettare sul fatto che ci sia stato un errato modo in cui le classi dirigenti del Sud abbiano usato i Fondi europei. Se una responsabilità c'è va condivisa dalle autonomie locali e dagli organismi centrali». Per il resto, silenzio. Condito da qualche provocazione. Italo Bocchino dice di primo mattino a La7 che Verdini e Cosentino sono due coordinatori balneari. Fabio Granata, piuttosto solitario, «Se si rompe il Pdl non è che poi possiamo restare con Berlusconi, c'è un altro spazio politico in cui collocarsi con le forze conservatrici, e non è un'area di centro. Per noi non sarebbe una tragedia, può anche darsi che l'Italia funzioni meglio». Di qui l'avvertimento del finiano più duro: se non arriva una svolta «c'è il rischio fortissimo che si vada alle elezioni nella primavera del 2011».

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