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Cosentino si è dimesso Un problema in meno

Nicola Cosentino

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Una soluzione a metà e un problema in meno. Le dimissioni di Nicola Cosentino dalla carica di sottosegretario sono un compromesso che per ora tampona una falla che rischiava di far schiantare la diga, ma il cemento che serve a rafforzare il partito ha ancora troppi granelli di sabbia e la presa non è rapida come dovrebbe essere. Il dato realmente positivo di questa vicenda è che Berlusconi s'è mostrato reattivo e ha capito che la maggioranza si stava inerpicando su un sentiero davvero pericoloso. La mossa di Gianfranco Fini di piazzare subito in calendario il dibattito sulla mozione di sfiducia contro Cosentino era una vera e propria tagliola piazzata sul percorso del governo. Per esser chiari: la maggioranza poteva perdere i pezzi, lo schieramento d'opposizione allargarsi con l'apporto non solo dei finiani ma anche dei non pochi malpancisti che cominciano a proliferare dentro il Pdl. Il partito - e non l'esecutivo - è il vero malato da curare e per questo le dimissioni di Cosentino dall'esecutivo non sono la cura decisiva, alleviano dalla pressione che si stava facendo sempre più forte, ma non sciolgono uno solo dei nodi che si stringono intorno alla creatura di Berlusconi. Non tarderemo a vedere altri sintomi di questo virus che ha colpito il Pdl. Il coordinamento a tre sta mostrando i limiti di un organismo che sarà pure collegiale ma risente della presenza nel governo di due dei suoi componenti (Sandro Bondi e Ignazio La Russa) e della posizione che si va facendo sempre più difficile di Denis Verdini, l'unico libero dagli incarichi di Palazzo Chigi, ma nello stesso tempo circondato da una matassa di problemi che si vanno sommando in maniera esponenziale. Voglio esser ancora una volta chiaro e netto: non stiamo discutendo di un problema giudiziario, ma politico. Verdini è un presunto innocente e lo ripeteremo fino a stancare i lettori, ma nell'ordinanza sul caso Carboni emerge il quadro di un partito «balcanizzato» che ha bisogno di una scossa per ritrovare un minimo di armonia e poter sostenere così l'azione della maggioranza. È il sistema di governo del Pdl che mostra la corda di fronte a una situazione nuova, al cospetto di correnti che non erano state messe in conto e personalismi che vanno al di là dell'immaginabile. Certo, Fini e i suoi fedelissimi sono un problema per la tenuta della maggioranza, ma pensare che siano il solo punto critico del partito è volersi illudere. Le cose che ho letto sono sufficienti per farmi dire che lasciare Cosentino al coordinamento in Campania non aiuterà il Pdl a ritrovare armonia. Il problema della convivenza delle varie personalità presenti nel partito resta irrisolto. E questo scenario bizantino fatto di rivalità, colpi sotto la cintola, attività poco edificanti contro l'avversario interno, pesa anche sulle decisioni del coordinamento nazionale. Fini, in questa lotta fratricida, incassa un punto a favore, ma, a dispetto di quel che si pensi, non può cantare vittoria e brindare. Lui è cofondatore del partito e il cattivo funzionamento di quest'ultimo porta anche la sua responsabilità. Ha mostrato di saper giostrare nelle manovre di Palazzo, ma non per la sua forza intrinseca. Evitare di farsi mettere in ponte era facile, solo che nessuno ci ha pensato e nessuno ha dettato i tempi giusti per la risposta. In ogni caso, ieri Berlusconi ha scansato un trappolone. Se la mozione di sfiducia fosse passata, in Parlamento non ci sarebbe stata solo una sconfitta bruciante del governo, ma anche la formazione per la prima volta di una possibile maggioranza alternativa che costituisce un precedente per il Quirinale che deve valutare il da farsi (sciogliere o no le Camere) in caso di crisi. Questo scenario a mio avviso è ancora tutto in piedi ed è comprensibile che l'opzione di andare al voto sia molto forte. Sarebbe un modo per mettere Fini all'angolo e lasciarlo solo con un pugno di voti. Ma se fossi un bookmaker ci andrei piano con le quotazioni di questo scenario. La situazione è diversa rispetto a quella del 2008, qui l'incumbent (l'uscente) non è un governo Prodi a brandelli, ma un esecutivo a guida Berlusconi che sta gestendo una lenta uscita dalla recessione cominciata nella seconda metà del 2008. Stravincere in queste condizioni è difficile anche per un talento delle campagne elettorali come Berlusconi e la legge sul voto attualmente in vigore ha dimostrato di funzionare solo a fasi alterne e per pura casualità. Se non fosse crollata la sinistra radicale, se Veltroni non avesse scelto la via autonoma del Pd rispetto alla soluzione ulivista, il risultato sarebbe stato molto diverso. Non bisogna dimenticare che cosa era il Senato nella scorsa legislatura: un continuo terno al lotto per il Professore di Bologna. Che alla fine infatti è caduto aprendo la via all'affermazione berlusconiana. Oggi il sismografo registra le dimissioni di Cosentino, ma le scosse nel Pdl continueranno finché non si abbandonerà l'immobilismo in cui il partito è precipitato negli ultimi mesi e non si tornerà a tessere la tela della politica.

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