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E Fini incassa il successo: "Avevamo ragione noi"

Gianfranco Fini

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Gongola Gianfranco Fini mentre si sfrega tra le mani i risultati di un sondaggio riservato. Sino a cinque settimane fa godeva del consenso di appena il 10 degli elettori del Pdl: praticamente era nell'angolo. Negli ultimi giorni, un'impennata: è con lui il 25 per cento degli elettori del partito che ha contribuito a fondare. Il trend è tutto in crescita. Prima della pausa estiva potrebbe essersi di fatto triplicato il tasso di approvazione nel centrodestra. Gongola Gianfranco Fini nel vedere il pacco di e-mail che il suo staff gli stampa quasi quotidianamente (il presidente della Camera non ama leggerle al computer, preferisce la carta) e sono ormai costantemente di incoraggiamento mentre appena un paio di mesi fa erano di insulti o più generalmente di contrarietà. Ma in politica, si sa, più dei sondaggi, più delle indagini di mercato, più delle sofisticate ricerche contano i comportamenti. Propri e dei propri avversari. E il telefono di Fini ha cominciato a squillare: dall'altro capo del telefono i big dell'ex An. Quelli che ad aprile, alla data del violento scontro con Berlusconi, gli avevano voltato le spalle preferendogli Silvio Berlusconi. Hanno preso a chiamarlo di nuovo, a cercarlo. È un segno che i finiani leggono come il frutto di una discesa del Cavaliere la cui nave imbarca l'acqua delle inchieste giudiziarie e degli scandali mentre il cofondatore appare sempre più come uno scoglio immobile in mezzo alla tempesta che si gonfia e si sta per abbattere sul Pdl. Nel mondo finiano il caso Cosentino viene letto ormai come un giro di boa, a voler rimanere nella metafora marinara. Contro l'ormai ex sottosegretario all'Economia si era già combattuta una aspra battaglia nello scorso autunno. Battaglia animata soprattutto dal finiano più oltranzista, Italo Bocchino. Lui e Cosentino sono nati entrambi nella provincia di Caserta in due centri confinanti: uno a Frignano, l'altro a Casal di Principe. Spesso sono andati di comune accordo, soprattutto nel limitare il potere dell'allora ras regionale di Forza Italia, Antonio Martusciello. Entrati in concorrenza, come spesso accade al Sud, hanno cominciato a darsele di santa ragione. Cosentino vuole correre per la Regione, ha dalla sua praticamente tutto il partito locale. Bocchino gli sbarra la strada e, d'intesa con la ministra Mara Carfagna, lancia Stefano Caldoro. Nel pieno del ballottaggio Cosentino rischia la galera per effetto di una richiesta di arresto per camorra firmata dalla Procura di Napoli e annunciata dalla stampa. Tra i berlusconiani si farà largo che l'intera mossa sia frutto dell'asse di ferro tra il presidente della Camera e i pm. E gli uomini di Cosentino cominceranno a mettere in giro le voci su Caldoro, gay e trans peraltro anticipate da una frase del sottosegretario sui «frocetti del Pdl». E siamo a questo torrido luglio. Esplodono le polemiche sulla P3, i dossier segreti contro l'attuale governatore campano. L'opposizione presenta una mozione di sfiducia contro il sottosegretario che Fini mette subito in calendario per la settimana prossima. Costringendo di fatto Cosentino alle dimissioni, un addio condito da accuse (ne riferiamo in altra pagina) allo stesso presidente della Camera. Il quale replica gelido: «Parole che mi lasciano indifferente». Quindi i finiani, dopo il successo, sono attenti a non stravincere. Dichiara Bocchino: «Ringraziamo Berlusconi per avere ascoltato il nostro grido d'allarme rispetto al danno elettorale che la permanenza al governo di Nicola Cosentino stava provocando al Pdl». In realtà per il Cavaliere la partita s'è complicata. E non poco. Spiega un mediatore tra i due: «Prima era Fini che voleva un accordo e Berlusconi che lo ignorava. Ora lentamente sta diventando l'opposto. Gianfranco comincia a vedere le difficoltà di Silvio e aspetta che cali ancora un po' per avere un potere contrattuale maggiore. Diventa più freddo, più lucido e indubbiamente il secondo tempo gli è più congeniale».

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