Pubblichiamo un'anticipazione del libro di Giovanni Fasanella e Giovanni Pellegrino «Il morbo giustizialista» (Marsilio).

Èun caso tutto italiano, quello dei magistrati dell'accusa che, dopo aver messo sottosopra il paese con le loro inchieste, spesso con dubbi risultati, abbandonano la toga e subito entrano in Parlamento. (...) Magistrati che hanno acquistato grande notorietà nell'esercizio dell'accusa vengono reclutati dai partiti per raccogliere voti. Però non sempre riescono a distinguere tra le due funzioni. Se oggi è rappresentato dall'Italia dei Valori, il fenomeno è stato però per lungo tempo alimentato dal Pci e poi dai partiti nati dalle sue ceneri, Pds e Ds. (...) A un certo punto un gruppo di giovani magistrati, della generazione di cui si è appena detto, presero sulle loro spalle il problema della difesa dell'ordine democratico. Cominciarono a sentirsi fra di loro, a scambiarsi notizie e informazioni, finendo per diventare ben presto un punto di riferimento, l'autorità a cui il paese guardava come l'unico argine contro il terrorismo. Molti di loro lo fecero anche a rischio personale: alcuni, come Guido Galli ed Emilio Alessandrini, pagarono con la vita; altri, come Luciano Violante e Giancarlo Caselli, scamparono per un soffio alla morte. La loro azione era particolarmente efficace anche perché, essendo tutti di matrice di sinistra, e quindi in qualche modo appartenenti allo stesso album di famiglia dei brigatisti, erano in grado di comprenderne con più facilità cultura e psicologia, e di combatterli meglio. Contemporaneamente anche il Pci, da cui proveniva gran parte del gruppo dirigente delle Br, prese coscienza della loro pericolosità e decise di chiudere con estrema durezza alla sua sinistra, soffocando anche quegli aneliti libertari che costituivano l'aspetto positivo del Sessantotto, e si schierò senza mezzi termini con lo Stato. (...) Fu proprio in quel periodo che si saldò un asse forte tra Pci e Magistratura democratica. Un legame che non era mai stato così stretto, perché i comunisti non assecondavano fino in fondo una delle tendenze più radicali della magistratura a interpretare in modo evolutivo la legge, quella del cosiddetto diritto libero, secondo la quale la norma diventava il pretesto da cui il magistrato doveva prendere le mosse per realizzare direttamente i principi della Costituzione. Quello, semmai, era un compito “politico” che spettava al partito, il giorno in cui avesse conquistato il potere. Perciò, l'idea che i magistrati potessero servire alla causa, che potesse esserci anche una “via giudiziaria” al socialismo, era sì contemplata dal Pci, ma solo fino a un certo punto. Quando i comunisti fecero la scelta d'ordine – e lo stesso tipo di scelta fu compiuto anche da quella pattuglia di magistrati antiterrorismo –, in quel momento, per forza di cose, si stabilì un legame di ferro. Cominciò così un processo involutivo di Magistratura democratica, che via via perse le connotazioni libertarie che erano nel suo Dna. Il passaggio alla politica di un personaggio come Luciano Violante fece il resto, istituzionalizzando quel legame. Naturalmente, tutto questo non rimase senza effetto per la base del partito. È un punto sul quale vale la pena insistere: il problema non era soltanto come i vertici politici valutassero quel tipo di rapporto con una parte della magistratura, ma anche come lo percepisse la base. Che era oggetto di una vera e propria pedagogia di massa: i brigatisti sono fascisti, quindi sono il male, i giudici che li combattono sono il bene, quindi il Pci è con le Procure...Il “partito delle Procure” nacque così.