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Dietro l'abbraccio di Casini c'è Fini

Il presidente della Camera Fini e il leader dell'Udc Casini

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Sembrava un buon affare politico ma rischia di diventare una trappola la richiesta di Casini a Berlusconi di liquidare il governo in carica per poterne guidare un altro più solido. Al quale dovrebbero partecipare, all'insegna della "responsabilità nazionale", delle "larghe intese" e di altre parole più o meno magiche, anche le componenti più ragionevoli dell'opposizione, riducibili solo a quella che fa capo allo stesso Casini. Dal Pd si è già fatto sentire infatti il «no mai» del capogruppo della Camera Dario Franceschini, per non parlare di quello gridato da Antonio Di Pietro. La trappola sta nei segnali che Casini e i suoi uomini da qualche giorno tengono a lanciare a Gianfranco Fini, il cui dissenso ormai sistematico da Berlusconi è la causa principale delle difficoltà nelle quali si trascina l'attuale maggioranza. Chiamato, per esempio, da un intervistatore del Corriere della Sera a rispondere a «chi sostiene che l'Udc potrebbe sostituire i finiani» in una nuova edizione parlamentare e ministeriale del centrodestra, Casini ha così risposto ieri: «Ritengo offensivo pensare che possa interessarmi una vendetta contro Fini per la scelta che portò due anni e mezzo fa alla creazione del Pdl. Non ho mai coltivato miserie simili». E ha invitato il presidente della Camera a vedere in una nuova alleanza con l'Udc l'occasione buona per «realizzare riforme importanti per il bene del Paese». Cose ovvie, si potrebbe dire con un po' di buona volontà, magari dimenticando le resistenze opposte dall'Udc all'interno della maggioranza di centrodestra, in sede parlamentare e referendaria, alla riforma della Costituzione fatta inutilmente approvare nel 2006 dal terzo governo Berlusconi. Ma proprio ieri Ferdinando Adornato, approdato nel partito di Casini da Forza Italia dopo un lungo e accidentato percorso politico cominciato nella federazione giovanile del Pci, ha spiegato al Messaggero che «tra noi e il Pdl c'è la stessa distanza che esiste tra Berlusconi e Fini». Ciò significa in parole povere che l'Udc si sente più vicina a Fini che a Berlusconi. Non a caso, del resto, il vice ministro finiano Adolfo Urso si è affrettato, sempre ieri, ad annunciare alla Stanpa che «noi siamo favorevoli al coinvolgimento dell'Udc nella maggioranza del governo», diversamente dai leghisti che hanno levato un fuoco di sbarramento. Ancora più esplicito e brutale tra i finiani è stato il solito Italo Bocchino annunciando al Corriere della Sera, sempre ieri, che non solo sono «falliti i tentativi di Berlusconi di sconfiggere Fini cancellandolo», ma si può anche perseguire a questo punto la rottura del Cavaliere con Umberto Bossi, per quanto una cosa del genere condannerebbe il Pdl ad una sicura sconfitta elettorale. «Paradossalmente è più facile che Casini possa sostituire la Lega, con la quale è incompatibile, che non noi», ha testualmente dichiarato Bocchino, che tra i paradossi nuota come un pesce. Se le cose stanno o si mettono così, dalla crisi che Casini chiede a Berlusconi di aprire per guidare una squadra e una maggioranza più solida potrebbe nascere invece un governo più fragile. Che di più larghe avrebbe non le intese, ma la distanze tra le sue componenti: un governo in cui Casini e Fini insieme, magari con l'aiuto anche di Francesco Rutelli e di Luca di Montezemolo, potrebbero cuocere Berlusconi a fuoco meno lento di quello di cui oggi è capace da solo il presidente della Camera. È funzionale ad un simile scenario pure la candidatura a vice presidente del nuovo Consiglio Superiore della Magistratura del casiniano Michele Vietti. Che dal 2001 al 2006 fu il sottosegretario bastian contrario del Ministero della Giustizia guidato dal leghista Roberto Castelli. Ne sarebbe forse soddisfatto persino Di Pietro, disposto magari a perdonare a Vietti l'aiutino iniziale e parziale fornito nei mesi scorsi alla legge provvisoria che disciplina il legittimo impedimento processuale del presidente del Consiglio e dei ministri.  

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