Basta lotte tra bande Denis deve lasciare
Nel Pdl la parola pace non esiste. Ho già scritto, qualche giorno fa, che le liti tra Fini e Berlusconi non mi appassionano più. Oggi aggiungo che di questo passo del Pdl non resterà nulla e di questa esperienza di governo ancora meno. Lo stato dell’arte dentro la maggioranza è francamente al di là dei limiti di guardia: la leadership del Cavaliere intaccata (parlo di quella interna non della elettorale), Bossi e la Lega in grado di dettare la linea su tutto, Fini trasformato da comparsa ad attore protagonista grazie a una incredibile serie di errori politici e di comunicazione, Casini in grado di giocare al gatto con il topo (è lui il gatto) a causa di una scarsa visione dei confini della maggioranza. Il presidente della Repubblica guarda allo stato di cose con crescente preoccupazione e credo abbia ragione: alle tensioni interne, infatti, si sommano una serie di accadimenti esterni che sono capaci realmente di far cadere il governo e segnare una fine anticipata della legislatura. La rottura dei patti e dei piatti tra Fini e Berlusconi è assai meno importante di altri eventi che sono in corso e hanno il ticchettio sinistro delle bombe a orologeria. La questione giustizia è uno di questi ordigni e su questo punto occorre essere chiari: l’inchiesta sulla cosiddetta P3, per quanto riguarda il plot più narrativo che giudiziario messo in piedi dalla magistratura, fa sorridere ma il quadro morale e politico che emerge del Pdl, quello è davvero preoccupante. In questa situazione i finiani si stanno comportando come banderilleros che prendono a colpi di lancia il toro e lo preparano per il matador. E dunque la loro azione politica non mi piace e spiegherò anche perché tra qualche riga. Ma per il bene del partito, di quel progetto chiamato Popolo delle Libertà, per gli interessi stessi di un'adeguata difesa libera da pesi e incarichi istituzionali, io penso che Denis Verdini debba fare un passo indietro e lasciare il suo posto di coordinatore. Se non sono saggi i suoi colleghi di partito, se non dimostrano amicizia vera e disinteressata i suoi compagni di viaggio, sia lui a prendere il toro per le corna e lasci l'incarico. Non gli manca il carattere, a Verdini, che è un toscano dalla battuta pronta e dal pugno di ferro, uno che conosce la praticaccia della vita meglio di molti altri, dica a tutti che è venuto il momento di difendersi e per questo il peso del coordinamento è zavorra. Verdini, fino a prova contraria, è un presunto innocente e bisogna ricordarlo bene a tutti. Ma non bisogna confondere il piano politico con quello giudiziario. I rumors e i boatos non sono materia sufficiente per condannare nessuno, ma le 60 pagine d'ordinanza che ho letto e pubblicato su Il Tempo sono il film di una guerra per bande che rischia di sbrindellare il Pdl, quindi costituiscono certamente materiale politico su cui riflettere e agire. E trattandosi del destino di un partito, questo agire deve essere nell'interesse generale. E veniamo ai finiani e all'assenza di un partito ben regolato quale dovrebbe essere - e non è in questo momento - il partito di maggioranza relativa in Italia. Ai tempi della tanto vituperata Dc, Democrazia cristiana, questo scenario avrebbe avuto un dibattito ben più alto, toni diversi e meno personaggi da operetta in giro per il Transatlantico. L'ultimo discorso parlamentare di Aldo Moro prima di essere rapito, fu una difesa accorata, tenace, al titanio, dell'ex ministro Luigi Gui accusato di aver approfittato personalmente di fondi del ministero della Difesa. Se fossi in Bocchino e nei panni del presidente Fini rileggerei attentamente quel discorso non per difendere Verdini, ma per cercare di capire che cosa significa davvero stare insieme in un partito e avere una cultura politica. Le parole di Moro, in quel frangente, furono la difesa come un sol uomo, una vera e propria testuggine romana, non di un esponente politico, non del destino individuale di Gui, ma lo scudo elevato su un'intera storia, quella della balena bianca. Non si trattava di stabilire in quel momento se Gui fosse colpevole o innocente, perché quel compito è dei tribunali e non della Camera, era in gioco una posta ben più alta: la tradizione di un partito democratico, la sua onorabilità e presentabilità. Per questo i finiani, alla fine, sbagliano. Non è chiedendo le dimissioni che appaiono migliori e neppure paladini della legalità. Non avendo alcuna cultura politica di grande statura e livello, fanno né più né meno il discorso di un Di Pietro qualsiasi, sembrano semplicemente una clava che s'abbatte su un nemico interno già pesantemente colpito. Il loro discorso avrebbe dovuto e potuto essere un altro. Non emanare sentenze anticipate, ma chiedere un atto politico e poi fare un serio discorso sulla necessità in questo scenario politico di un partito come il Pdl, il suo leader Silvio Berlusconi e la sua classe dirigente che, fino a prova contraria, è formata da persone forse non brillantissime dal punto di vista della capacità di visione e azione, ma certamente in gran parte oneste. Un partito si migliora e si costruisce così, non diventando il servo sciocco di un'opposizione che non esiste e crea imbarazzo per la sua totale assenza di progetto per l'Italia, non assecondando la tentazione giacobina di chi pensa di essere ancora nel 1992 e sogna la rivoluzione giudiziaria, non brandendo l'ascia del boia. La politica può essere spietata, ma senza solidarietà diventa solo una lotta tra clan.