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Tre arrestati per l'eolico

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L'imprenditore sardo Flavio Carboni è stato arrestato a Roma dai carabinieri nell'ambito dell'inchiesta sugli impianti eolici in Sardegna

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«Una associazione per delinquere diretta a realizzare una serie indeterminata di delitti» e caratterizzata «dalla segretezza degli scopi, dell'attività e della composizione del sodalizio, volta anche a condizionare il funzionamento di organi costituzionali e di rilevanza costituzionale, nonché gli apparati della pubblica amministrazione dello Stato e degli enti locali». È quanto scrive il Gip del Tribunale di Roma nell'ordinanza di arresto di Flavio Carboni. Una nuova Loggia P2, insomma. Dopo una condanna definitiva a otto anni e sei mesi per la vicenda del fallimento del Banco Ambrosiano e una lunga serie di assoluzioni (tra cui quella dal concorso nell'omicidio del banchiere Roberto Calvi), l'imprenditore-faccendiere sardo torna in carcere. È stato portato ieri a Regina Coeli, alle prime luci dell'alba. Con lui in manette anche l'imprenditore campano Arcangelo Martino (trasferito ieri nel carcere di Bellizzi, essendo residente ad Avellino) e Pasquale Lombardi, ex componente di commissioni tributarie (da ieri recluso nella prigione di Napoli). I reati riguardano l'inchiesta sugli impianti eolici da costruire in Sardegna, che rappresenta uno stralcio della principale indagine sull'eolico già avviata due anni fa. La stessa che coinvolge, tra gli altri, anche il coordinatore nazionale del Pdl Denis Verdini e il presidente della Regione Sardegna Ugo Cappellacci. Secondo il gip, tra settembre e ottobre 2009 Carboni, Martino e Lombardi tentarono di avvicinare alcuni giudici della Corte costituzionale allo scopo di influire sull'esito del giudizio sul cosiddetto «lodo Alfano», la legge che prevedeva la sospensione del processo penale per le alte cariche dello Stato, poi bloccata dalla Corte. L'imminente giudizio sul lodo sarebbe stato oggetto - secondo quanto scritto nel provvedimento - il 23 settembre 2009, di una riunione nell'abitazione romana del coordinatore del Pdl, Denis Verdini (indagato per corruzione e riciclaggio), a cui sarebbero stati invitati oltre a Carboni, Lombardi e Martino, il senatore del Pdl Marcello Dell'Utri e il sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo («ero alla riunione ma non si parlò di pressioni sulla Consulta» replica il diretto interessato), i magistrati Antonio Martone e Arcibaldo Miller. Al termine della riunione, in base a quanto scrive il Gip, Lombardi chiama Caliendo, che aveva dovuto abbandonare in anticipo l'incontro, aggiornandolo. Lombardi si dice disponibile a correre ai ripari in ogni modo, affermando che occorre fare la conta di quanti sono i giudici favorevoli alla bocciatura della legge e quanti quelli contrari. Stesso discorso viene fatto da Lombardi a Martone e Carboni. La troppa loquacità di Lombardi e l'incontro del 23 settembre sono oggetto di una successiva conversazione tra Martino e Carboni. L'imprenditore sardo raccomanda all'amico di riferire solo con lui della questione, perché Lombardi (ritenuto da entrambi fondamentale per la riuscita dei loro piani) parla troppo. Tra le personalità avvicinate da Lombardi per fare da tramite con i giudici della Consulta ci sarebbero anche il parlamentare Renzo Lusetti, che tuttavia reagisce con imbarazzo alle telefonate. Analogo imbarazzo mostra, in una telefonata intercettata il 30 settembre, il presidente emerito della Corte costituzionale Cesare Mirabelli, che tenta in ogni modo di sottrarsi alle richieste pressanti di Lombardi. La contropartita chiesta per tale attività di lobby è la candidatura di Nicola Cosentino alla Regione Campania, come esplicitato in una telefonata di Lombardi allo stesso sottosegretario. Il tentativo di influire sul giudizio di costituzionalità del lodo Alfano però non va a buon fine. Furiosi Carboni e Martino, che accusano Lombardi del fallimento e della figuraccia fatta con i propri referenti politici, a partire da Verdini. Non è tutto. Il gip racconta anche di alcune pressioni su uomini del ministero della Giustizia per eseguire controlli pilotati su alcuni giudici. In particolare quando la Lista Formigoni fu respinta dalla commissione elettorale presso la corte di appello di Milano, Martino, si attivò nel marzo scorso presso il capo degli ispettori del ministero della Giustizia, Arcibaldo Miller, per verificare la possibilità di una ispezione straordinaria presso quel collegio di giudici che aveva escluso la Lista. Della vicenda, come documentato dal giudice, si interessarono anche Lombardi e Carboni. Alla fine, nonostante i rinnovati interventi su Miller e sul sottosegretario Giacomo Caliendo, quella ispezione non si fece mai. E - prosegue la ricostruzione del gip - fu Formigoni a informarne Martino, dicendo che, a quanto appreso dal ministero, l'ispezione si sarebbe rivelata un clamoroso boomerang. Questa la fitta trama di relazioni e contatti sospetti che ha convinto il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo a ipotizzare la violazione della legge Anselmi, quella varata nel 1982 sull'onda dello scandalo della Loggia P2. La norma stabilisce le pene per promotori e partecipanti ad associazioni segrete. La massima punizione prevista è la reclusione fino a cinque anni.  

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