Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

Sulla protesta i quotidiani viaggiano in ordine sparso

default_image

  • a
  • a
  • a

Ilprimo a lanciare il sasso dello stagno è stato il direttore del Giornale Vittorio Feltri. Poche righe in prima pagina il 2 luglio: «Cari giornalisti, con una scelta linguistica efficace, avete definito "legge bavaglio" la normativa che disciplina le intercettazioni vietandone la divulgazione. E allo scopo di protestare contro la prossima approvazione del bavaglio, ve lo mettete in anticipo e volontariamente. L'8 luglio sciopererete e i giornali non saranno in edicola. Fantastico. Per chiedere maggiore libertà, la negate del tutto a voi stessi e ai lettori. Non sapevo che il diritto di dare notizie si difendesse non dandole». Poi è stata la volta di Marco Travaglio (4 luglio) che, dalle pagine del Fatto, ha provato ad «insinuare un piccolo dubbio negli amici della Fnsi: sicuri che la forma più efficace di protesta contro il bavaglio sia autoimbavagliarci per un giorno?» E così il dibattito si accesso. Tutti compatti, pur con diverse sfumature, nel ritenere pessima la legge sulle intercettazioni, un po' meno sulla reale efficacia dello sciopero. E così oggi, oltre a Il Tempo, saranno in edicola Il Giornale e Libero, ma anche Il Foglio e Il Riformista. Giuliano Ferrara ha affidato le sue motivazioni a un editoriale dal titolo «Foglio, domani c'è». «Non possiamo scioperare uniti e compatti contro la nostra linea editoriale, contro le nostre idee - ha scritto -. Il movimento contro la legge bavaglio cosiddetta può avere delle ragioni tecnico-legislative, ma ha purtroppo per scopo evidente difendere lo stato di cose presente, l'eccezione italiana, e cioè la vistosa, sistematica, sciatta riproposizione sulla stampa e in tv di chilometri di nastri intercettati in cui persone, faccende private, libertà grandi e minute sono sottoposte a gogna». Stessa scelta per Antonio Polito. La sua redazione ha deciso a maggioranza di andare in edicola, cinque giornalisti hanno affidato all'Associazione stampa romana le motivazioni della loro adesione, il direttore, dopo aver ribadito che esiste un problema di privacy e di «garanzia processuale da assicurare agli imputati», spiega: «Mettersi per un giorno il bavaglio che si proclama di voler combattere, per protestare contro una legge che non sappiamo ancora ancora se ci sarà e come sarà, non è proprio la forma di lotta più intelligente». E se Repubblica e Corriere della Sera si schierano convintamente al fianco della Federazione, c'è anche chi non sarà in edicola, ma a malincuore. È il caso della Stampa. «Abbiamo deciso di aderire a questo sciopero - scrive il direttore Mario Calabresi -, ma non posso nascondere che lo abbiamo fatto a malincuore. Siamo convinti che nel momento in cui si denuncia il tentativo di imbavagliare l'informazione, nel momento in cui il presidente del Consiglio invita i cittadini a scioperare contro i giornali lasciandoli invenduti in edicola, la scelta migliore fosse quella di continuare a far sentire la propria voce, non quella di rinunciare ad arrivare nelle edicole e nelle case degli italiani e di condannarsi al silenzio». Ma anche il direttore del Fatto Antonio Padellaro, in un editoriale dal titolo «Scioperiamo ma...», spiega che il quotidiano sciopera «non per convinzione, ma per necessità. Nel momento in cui l'informazione è sotto tiro sarebbe da irresponsabili rompere un fronte non proprio solidissimo. Ci saranno altre battaglie da combattere perché questo sciopero non fermerà certo un governo capace veramente di tutto per imporci la mordacchia». Da registrare pure l'editoriale del direttore di Avvenire Marco Tarquinio che punta i riflettori sull'«agonia procurata di un gran numero di testate giornalistiche soprattutto locali, soprattutto d'ispirazione cattolica» e commenta: «Stavolta non so francamente immaginare che cosa riuscirà a dire l'evitabilissimo silenzio che a maggioranza i giornalisti italiani hanno deciso di autoimporsi». Mentre il Secolo d'Italia sceglie la strada del free press. Il quotidiano diretto dalla finiana Flavia Perina uscirà, ma siccome «i costi di una distribuzione "in proprio" erano troppo elevati», verrà distribuito gratuitamente a Roma, Milano e Bologna. È la stampa bellezza.

Dai blog