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Brancher è un ex ministro

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Aldo Brancher

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«Mi dimetto dall'incarico di ministro». Brancher alla fine ha ceduto e, dopo appena 18 giorni, ha lasciato il ministero. Una decisione comunicata nell'aula del Tribunale di Milano dove si era recato per prendere parte all'udienza del processo Antonveneta. Si chiude in questo modo una vicenda che, nelle ultime settimane, non solo è riuscita a mettere in difficoltà il governo e la maggioranza ma che ha avuto ripercussioni anche sul non già facile rapporto del presidente del Consiglio Berlusconi con il Quirinale. E così, proprio da quell'Aula nella quale Aldo Brancher non avrebbe voluto presentarsi avvalendosi del legittimo impedimento, il messaggio è partito chiaro. «Comunico in questa sede la mia decisione irrevocabile di dimettermi dall'incarico di ministro». Uno sfogo liberatorio per l'ormai ex ministro Brancher che, davanti al giudice della quinta sezione penale del tribunale Anna Maria Gatto, ha detto: «Pensavo di dover privilegiare per un breve periodo gli obblighi verso il mio Paese ma siccome questa scelta è stata indebitamente strumentalizzata ho fatto diverse scelte: prima di tutto nel rispetto della mia famiglia e poi anche perché finiscano le strumentalizzazioni e speculazioni». Poi, dopo aver confermato la rinuncia al legittimo impedimento già annunciata dai suoi legali, ha scelto il rito abbreviato incondizionato che necessariamente porterà il processo ad essere celebrato allo stato degli atti, cioè in base alle carte del fascicolo processuale. Brancher esce così definitivamente di scena abbandonando. Un abbandono giunto non senza l'assenso di Silvio Berlusconi. I due infatti si erano incontrati domenica sera nella villa del Cavaliere ad Arcore. Durante il faccia a faccia il premier aveva suggerito a Brancher un'onorevole via di uscita: dimettersi prima del voto della Camera sulla mozione di sfiducia presentata dall'opposizione, previsto per giovedì prossimo. «Ho condiviso con Aldo Brancher la decisione di dimettersi» conferma Berlusconi in una nota ufficiale. E continua spiegando che l'addio del ministro dei diciotto giorni serve a «evitare il trascinarsi di polemiche ingiuste e strumentali». Polemiche portate avanti non solo dall'opposizione, ma anche da chi, all'interno della maggioranza, non vedeva di buon occhio la nomina di Brancher. Ecco quindi che a questo punto la tensione tra il presidente del Consiglio e Gianfranco Fini si dovrebbe allentare. E le parole di Italo Bocchino lo dimostrano. «Chapeau a Brancher. Con le sue dimissioni e la rinuncia al legittimo impedimento il ministro ha sgombrato il campo dagli equivoci e favorito la soluzione di uno dei problemi più spinosi interni al Pdl» ha detto il parlamentare vicino al presidente della Camera. «Ci fa piacere aver avuto ragione - ha aggiunto - difendendo in maniera pignola il principio di legalità che non può essere offuscato dal sospetto di una nomina vera a sottrarre l'imputato dal suo giudice naturale. Il primo atto del "ghe pensi mi" berlusconiano va incontro alle nostre richieste e siamo fiduciosi che lo stesso accadrà su intercettazioni, manovra e vita interna del Pdl». Anche se è stata disinnescata la mina dell'ipotetico fuoco amico che sarebbe potuto arrivare se si fosse votata la mozione di sfiducia, il governo e la maggioranza ora dovranno comunque fronteggiare le opposizioni, per niente disposte a fare sconti. «È l'indegna fine di una pericolosa pagliacciata» attacca la capogruppo dei democratici al Senato Anna Finocchiaro. Il Pd, con Pierluigi Bersani, e l'Idv si prendono il merito di aver portato Brancher alle dimissioni. E c'è chi come Di Pietro non si accontenta: a quelle di Brancher, chiede, devono fare seguito le dimissioni del sottosegretario Cosentino, finito nelle inchieste sulla camorra. Coro unanime di apprezzamenti, invece, si alza dalle fila del governo dove i colleghi dell'ex ministro ora aspettano di sapere l'esito della sentenza che secondo i programmi preannunciati, dovrebbe arrivare entro fine mese.

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