Una spremitura di tutto che non risolve tutto

La manovra economica studiata a tavolino da Giulio Tremonti sembra accartocciarsi sempre più sotto il fuoco amico, nemico e neutrale. In principio furono le Regioni e gli altri enti locali a lamentare tagli dolorosi e, a loro dire, eccessivi. Poi si fecero avanti lobby e gruppi di pressione, ciascuno con le sue ragioni e i suoi torti e – ciò che più conta – ciascuno con le sue influenze sui partiti della maggioranza. Fu poi il turno di Confindustria, scesa in campo per difendere i suoi interessi ma, almeno per quel che riguarda l’inversione dell’onere della prova nei debiti tra imprese e pubbliche amministrazioni, anche i diritti dei suoi associati e di tutti noi. Non passa giorno senza che nuove insoddisfazioni non facciano aprire altri dossier a Palazzo Chigi. I nodi politici sono stati discussi nel vertice tra Silvio Berlusconi e il ministro dell’Economia. I nodi sostanziali restano irrisolti. La manovra ha una caratura emergenziale che giustifica la ruvidità di alcune scelte. C’è, però, un limite che non dovrebbe essere superato e che, invece, i tecnici di Via XX Settembre sembrano aver del tutto ignorato. Da un lato, il Tesoro cerca di raccattare risorse dovunque ci siano, indifferente al fatto che questo potrebbe compromettere lo svolgimento di alcune funzioni essenziali – come nel caso dell’Autorità per l’energia – o, peggio ancora, costringere a inasprire i tributi locali o altre forme di prelievo parafiscale. Nel qual caso, l’effetto netto sarebbe un aumento della presa del fisco sulla società. Secondariamente, la manovra appare come lo sforzo di spremere tutto le spremibile, ma manca completamente di visione rispetto sia alle conseguenze immediate della spremitura, sia più in generale alle ragioni delle difficoltà strutturali italiane. La manovra, cioè, vuole estrarre più soldi dai contribuenti, ma non si interroga se i contribuenti non siano già tartassati oltre le loro possibilità di sopportazione. Vuole ridurre i singoli capitoli di spesa, ma non si chiede quali spese siano utili e produttive, e quali inefficienti, inutili o addirittura controproducenti. Vuole rendere il fisco più rapace, ma non si pone il problema di come renderlo più sopportabile. Vuole che gli esattori portino più soldi all’erario, ma non fa nulla per riformare il sistema tributario nel senso dell’equità e della sostenibilità. C’erano troppe aliquote, e ci saranno troppe aliquote. C’erano aliquote troppo alte, e ci saranno aliquote troppo alte. C’era un sistema di riscossione bizantino, e ci sarà un sistema di riscossione che, oltre a rimanere bizantino, diventerà anche vampiresco. Nelle statistiche internazionali, l’Italia continuerà a colare a picco, perché la manovra ha una gittata cortissima, non vede oltre i suoi effetti immediati. Non c’è alcuna attenzione per la crescita, nulla che tradisca un orientamento al futuro né la comprensione delle lezioni passate. Vengono tolte le pagliuzze, della trave non ci si occupa. Il Titanic affonderà, ma il ponte sarà pulito e gli ottoni tirati a specchio.