Soffia la Tremontana

Giulio Tremonti è la paura e la speranza del centrodestra. Non c’è ministro nel governo che porti su di sé in manierà così netta il segno di questi due sentimenti e il destino ha giocato a dadi con quest’uomo al punto da convincerlo a usare «La Paura e la Speranza» come titolo di un libro di successo. Premonizione. Il ministro dell’Economia è un uomo di rara intelligenza, un genio della contabilità nazionale a cui si guarda con un misto di ammirazione e timore. Gli avversari amano ritrarlo nella caricatura del commercialista, pensano così di degradarlo al ruolo di freddo calcolatore, esecutore di ordini imperiali. Gli amici ne esaltano le funamboliche doti di navigatore del Bilancio dello Stato, il profilo da uomo di cultura, il visionario degli scenari futuri, l’uomo che dice e predice. Tremonti non è né l’uno né l’altro. È un mix di capacità intellettuali e solido spirito pratico, un solista della politica che tutti - anche a sinistra - alla fine vorrebbero in squadra. Quando Berlusconi provò a farne a meno, si capì subito che la mossa era sbagliata e chi scrive non esitò a dirlo. Tremonti, insieme a Silvio Berlusconi e Gianni Letta, è l’unica figura insostituibile nella struttura di governo. Lui stesso ama ogni tanto ricordare questo triangolo isoscele simbolo della storia dei conservatori all’italiana. Il pensiero tremontiano ha dato sostanza al costume nazionale del berlusconismo, lo ha in un certo senso «nobilitato», fornendo a una coalizione patchwork le cartucce culturali per far diventare egemonico un blocco politico che in passato era perdente rispetto alla sinistra. Prima o poi faremo un resoconto di come questo materiale sia stato usato per fare politica, ma dobbiamo riconoscere a Giulio un tasso di visione e innovazione che nessuno può vantare. Perfino una sinistra in costante ricerca d’autore ha trovato nell’intellettuale Tremonti un faro nei momenti in cui non sapeva più da che parte guardare. Il suo saggio sulla crisi globale, la fine del turbocapitalismo, il declino dell’Europa e l’emergere del drago cinese ha segnato il dibattito politico-culturale. Nessuno è stato capace di fare altrettanto, anche in Europa. Spesso si rimprovera al ministro l’uso della contabilità creativa, ma in realtà quello che la sinistra ritiene il punto debole della politica tremontiana è proprio la sua arma più forte: la capacità di creare soluzioni sempre nuove per affrontare un problema sempre vecchio, quello del debito pubblico italiano. Lo scudo fiscale e altri gingilli tributari escogitati da Tremonti sono stati poi usati da altri Stati e durante i vertici internazionali più di un collega si consigliava con il ministro italiano per chiedere lumi sui provvedimenti per far emergere nuovi cespiti da tassare e fare cassa in maniera certa e rapida. Quando Eugenio Scalfari scrive di Tremonti lo fa con sottile perfidia: «Come persona fa tenerezza, come responsabile politico dell’economia si trova in una difficilissima posizione che lo spinge a sottovalutare in pubblico la gravità d’una situazione a lui perfettamente nota». Ma nelle parole del Fondatore c’è anche un fiume carsico d’ammirazione per il Professore, le sue evoluzioni, i suoi scritti, le iperboli, al punto da confessare «mi sto sempre più affezionando a Tremonti perché lo vedo profondamente tormentato». Com’è umano lei, verrebbe da chiosare. In realtà anche l’Ego di Scalfari di fronte a Tremonti diventa un po’ - solo un po’ - più piccolo. Giulio merita rispetto. Va ascoltato e letto. La sua finanziaria in questi giorni è stata bersagliata da tutti, un segno brutto e buono nello stesso tempo. In un Paese di corporazioni, Tremonti non poteva sperare in un via vai alle Camere senza conseguenze. Ma il suo vero difetto non era tanto nei contenuti, quelli si possono sempre aggiustare, riscrivere, imbellettare, quanto nell’assenza di - uso un termine che non mi piace ma rende bene il climax del Palazzo - «concertazione». Tremonti in questo è il lato opposto del triangolo rappresentato da Gianni Letta. Tanto è felpato e diplomatico quest’ultimo, quanto scartavetrato è il ministro dell’Economia. Quel suo «cialtroni» rivolto ai presidenti delle Regioni del Sud alle prese con i tagli e i bilanci che fanno piangere, è un errore, ma nello stesso tempo dipinge il temperamento dell’uomo, lo rendono terreno e migliore di molti altri che non hanno neppure quel coraggio. Il governo porrà la fiducia sulla manovra. E credo non ci siano grandi alternative a questa decisione. Un passaggio parlamentare «aperto», in questa fase, sarebbe rischiosissimo. Lo sa Tremonti, se ne rende conto Berlusconi che questa manovra non la ama ma di fronte alle obiezioni di scenario fatte dal ministro, non può che concordare. Tra i due alla fine prevale il pragmatismo di quelli che hanno scritto insieme un pezzo di storia italiana. Ora è meglio non scottarsi. In autunno ci servirà un impermeabile e in inverno un cappotto per difendersi dal gelo. Soffia la «tremontana».